WWII: la resa ufficiale del Giappone

Seconda guerra mondiale: il Giappone accetta i termini della resa incondizionata posti dalla Conferenza di Potsdam.

I leader delle maggiori potenze Alleate, com’è noto, si incontrarono nella Conferenza di Potsdam dal 16 luglio al 2 agosto 1945. I partecipanti erano l’Unione Sovietica, il Regno Unito e gli Stati Uniti, rappresentati rispettivamente da Stalin, Winston Churchill (in seguito da Clement Attlee) e da Truman. Anche se la Conferenza riguardò principalmente la questione europea, la situazione del Giappone fu largamente discussa.

La Dichiarazione di Potsdam fu intesa a difendere la “resa incondizionata” del Giappone e a chiarificare ciò che significava per la figura dell’Imperatore e per Hirohito personalmente. I governi americano e britannico erano fortemente in disaccordo su questo punto, in quanto gli Stati Uniti volevano abolire la figura imperiale e possibilmente processare Hirohito come un criminale di guerra, mentre il Regno Unito voleva mantenere Hirohito come regnante. Della Dichiarazione furono scritte diverse bozze, finché non si raggiunse una versione accettabile da entrambe le parti. Solamente il 26 luglio, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Cina rilasciarono la Dichiarazione di Potsdam, annunciando i termini di resa per il Giappone, con l’avvertimento che “noi non ci muoveremo da essi [i termini di resa]. Non ci sono alternative. Non accetteremo alcun ritardo”.

La Dichiarazione tuttavia non menzionava l’Imperatore. Le intenzioni alleate sulle questioni di massima importanza per i giapponesi, incluso se Hirohito sarebbe stato visto come uno di coloro che “condussero in errore il popolo del Giappone” o un criminale di guerra o se l’Imperatore potesse diventare parte di un “governo responsabile di inclinazione pacifica”, non furono rese pubbliche. La clausola dell’immediata e totale distruzione” fu interpretata come un velato avvertimento sull’armamento atomico posseduto dall’America (testato con successo il primo giorno della conferenza).

Il Primo Ministro giapponese Suzuki comunicò alla stampa la seguente dichiarazione:
«Considero la Proclamazione Congiunta una rielaborazione della Dichiarazione della Conferenza del Cairo. Come ritiene il governo, essa non parla affatto di alcun importante argomento. L’unica cosa da fare è distruggerla con il silenzio (mokusatsu). Noi non faremo nulla se non premere verso la miglior conclusione per ottenere un completamento della guerra soddisfacente». “Mokusatsu” significa letteralmente “uccidere con il silenzio”, e si può intendere come “ignorare trattando con disprezzo”, che in modo abbastanza chiaro descrive il tipo di reazione del governo. Le affermazioni di Suzuki, in particolare l’ultima frase, lasciarono poco spazio a una mal interpretazione e fu inteso dalla stampa come un rigetto, sia in Giappone che all’estero, e nessuna affermazione fu fatta in pubblico o attraverso canali diplomatici per alterare quest’interpretazione.

La mattina del 6 agosto, l’Enola Gay, un Boeing B-29 Superfortress pilotato dal colonnello Paul Tibbets, sganciò una bomba atomica sulla città di Hiroshima nell’Honshu del sud-ovest. Alle 04:00 del 9 agosto giunsero a Tokyo delle voci relative alla rottura da parte dell’Unione Sovietica del Patto di Neutralità, dichiarando guerra al Giappone, e invadendo la Manciuria. Questo “doppio shock” – la bomba atomica su Hiroshima e l’entrata in guerra sovietica – ebbe immediati e profondi effetti sul Primo Ministro Suzuki e il Ministro degli Esteri Togo Shigenori, che affermarono che il governo doveva concludere la guerra una volta per tutte.

Nella mattinata del 10 agosto, il Ministro degli Esteri inviò un telegramma agli Alleati, annunciando che il Giappone avrebbe accettato la Dichiarazione di Potsdam ma non avrebbe accettato alcuna condizione di pace che avesse “pregiudicato le prerogative” dell’Imperatore. Ciò effettivamente significava che il governo del Giappone non avrebbe cambiato forma, e che l’Imperatore del Giappone sarebbe rimasta quindi una figura di potere reale.

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