Il “Vom Kriege”: parte II.

Clausewitz dedica una trattazione approfondita ad un tema solitamente tralasciato dai suoi contemporanei che si occupavano di strategia militare: il ruolo del ‘genio’ all’interno del conflitto. Il concetto di genio, per lui, si riferisce non solo a individui dotati di capacità eccezionali, fuori dal comune, ma anche a possibilità e sentimenti su cui si fonda il comportamento dell’uomo comune. Bisogna esaminare ogni tipo di indirizzo comune delle energie spirituali proiettate all’interno del fenomeno guerra, il cui insieme andrà a costituire l’essenza del genio guerriero. Il “Vom Kriege” fece della psicologia del soldato, del suo comandante e della società nel suo insieme una parte essenziale della teoria della guerra.
Sottolineò più volte l’interdipendenza di attacco e difesa nella strategia e nella tattica. Per ragioni di tempo, di spazio e di energia, l’offensiva gradatamente si indebolisce fino a raggiungere il cosiddetto punto culminante, ovvero quello stadio oltre il quale l’attaccante non può più facilmente e ragionevolmente difendersi a lungo da un contrattacco in atto. La fase difensiva è fatta di resistenza e contrattacchi, quella offensiva si compone di attacchi, soste e resistenza. Da quanto detto si può facilmente intuire che per Clausewitz, a dispetto dei convincimenti del tempo, vi era la possibilità di analizzare determinate aree della guerra, fino all’elaborazione di una teoria universale. Ad esempio: la difesa è la forma più forte da praticare in battaglia – ogni attacco si indebolisce progressivamente – la vittoria non è solo la conquista del campo di battaglia, ma sottintende la distruzione materiale e morale della controparte. La violenza, inoltre, può essere analizzata e padroneggiata con la ragione.

Lo scopo politico determina i mezzi da impiegare in guerra e il grado di sforzo richiesto, e dovrebbe anche determinare l’obiettivo militare, in quanto i due coincidono. L’obiettivo militare, in sostanza, dipende dallo scopo politico, ma anche dalle scelte politiche e militari del nemico, dalle condizioni e dalle risorse dei due antagonisti. I mezzi da utilizzare in guerra sono l’applicazione o la minaccia dell’impiego della forza. Quest’ultima deve esser adattata all’obiettivo militare e allo sforzo politico.

Attraverso il “Vom Kriege”, Clausewitz voleva arrivare ad una chiarificazione di fenomeni ben noti e a una loro riformulazione tale da poter esser racchiusa all’interno di una teoria sostenibile. Il testo è quasi interamente dedicato a questioni fondamentali per Clausewitz, quali la pianificazione politica e strategica, e la condotta delle ostilità; rimangono a margine buona parte dei fattori tecnologici, amministrativi e organizzativi. La guerra navale viene completamente ignorata. Un’analisi complessiva dello stato economico di un paese, secondo l’autore, non è necessaria, in quanto le risorse economiche di un territorio, con la sua geografia e le sue condizioni sociali e politiche, determinano automaticamente le scelte militari. I codici etici (in guerra), che fanno parte dei valori di una società, possono influenzare l’attività di un soldato, ma, in se stessi, hanno scarsa sostanza.
La politica (nel “Vom Kriege”) si riferisce a quegli atti politici che conducono alla guerra, determinano il suo scopo, influenzano la sua condotta e portano alla sua cessazione. I più importanti lettori tedeschi dell’epoca non accettarono la tesi relativa alla stretta interazione tra politica e guerra, come anche quella che prescriveva la supremazia delle considerazioni politiche anche durante i combattimenti. Due importanti eredità accettate invece dai militari tedeschi furono la considerazione secondo la quale una grande vittoria fosse più importante di molti piccoli successi e il concetto di imponderabile.

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