Il sogno del Grande Giappone

Il Paese del Sol Levante prima della Seconda guerra mondiale: il Giappone alla ricerca dell’egemonia in Estremo Oriente.

Il Giappone moderno sorto dalla svolta degli anni Sessanta dell’Ottocento si era rivelato un Paese costretto a sostenere il suo programma di industrializzazione con una politica d’espansione di stampo imperialista (caratterizzata dall’avanzata in Corea e dal conseguente scontro con la Russia zarista). Furono proprio i contraccolpi della “grande crisi” a spingere con forza i gruppi dirigenti verso la guerra. La caduta del prezzo della seta greggia e del riso, come anche la paralisi che colpì l’industria tessile provocarono un’impennata della disoccupazione e importanti difficoltà per il mantenimento dell’ordine pubblico. Inoltre, l’economia giapponese dovette far fronte inevitabilmente al nuovo orientamento protezionistico inaugurato da diversi paesi.

Fu proprio in questa fase che, alle spinte del mondo imprenditoriale, si aggiunsero, sempre più incalzanti, le sollecitazioni degli ambienti militari. Così, il programma di espansione si configurò compiutamente. La conquista della Manciuria (l’Incidente di Mukden nel 1931 fu il casus belli dell’occupazione della Manciuria da parte del Giappone) fu considerata solo il primo episodio di una lotta che si sarebbe dovuta concludere con la creazione di un vasto Impero Asiatico, capace di assicurare ai Giapponesi materie prime per le industrie, un mercato sostenibile per i prodotti e vasti territori dove insediare l’eccedenza della popolazione. Questo programma, che prese corpo tra il 1931 e il 1936 con la penetrazione in profondità nel territorio cinese, era appoggiato, oltre che dagli industriali e dall’esercito, da vasti strati della popolazione.

Nei primi anni Trenta, infatti, i militari fecero sentire sempre più fortemente la loro influenza. Erano guidati da una generazione di giovani ufficiali ultra-nazionalisti che non esitarono a ordire complotti contro i superstiti governi parlamentari. La loro forza era la corte dell’Imperatore Hirohito (Tokyo, 29 aprile 1901 – Tokyo, 7 gennaio 1989), sin dal 1926 investito della suprema autorità e fatto oggetto di culto personale. Questi incoraggiò l’organizzazione di un apparato di consenso autoritario che mescolava al modello fascista le istituzioni patriarcali e l’ispirazione militarista del vecchio Giappone. Fu eliminato quel che rimaneva del sistema parlamentare. Alla soppressione delle opposizioni seguirono la creazione di un partito unico e l’ordinamento dell’economia nazionale in forma corporativa.

Nel 1936 i gruppi militaristi presero il controllo del Paese. Il Giappone abbandonò la Società delle Nazioni; si alleò con i Tedeschi e gli Italiani; decise di spingere a fondo la propria avanzata in Cina, raggiungendo il corso del Fiume Azzurro (l’invasione della Cina costituiva parte del progetto strategico complessivo giapponese per assumere il controllo dell’Asia). Di fronte alla portata della minaccia, i comunisti e i nazionalisti cinesi ebbero la forza di costituirsi in un fronte unitario. Tanto l’avanzata del Giappone in Asia quanto l’alleanza di questo con il fascismo europeo avevano suscitato, intanto, forti preoccupazioni negli Stati Uniti e nell’Unione Sovietica. Quest’ultima concesse alla Cina aiuti in armi e in altri materiali, mentre la Repubblica stellata, abbandonando il tradizionali isolazionismo, avanzò i primi propositi indirizzati al contenimento della minaccia giapponese.

In realtà, quella guerra che tre anni dopo sarebbe divenuta di portata mondiale, in Oriente era iniziata con largo anticipo.

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