I “Prolegomeni del Primato” di Gioberti

Nel 1845 Vincenzo Gioberti, durante le polemiche sorte in seguito alla pubblicazione del “Primato”, fu attacco ferocemente sia dai democratici che dai reazionari: provvide così a rettificare quanto scritto in precedenza con i “Prolegomeni del Primato”, attraverso cui corresse la sua posizione entro lo schieramento politico italiano. Si distaccò sia dalle Sinistre rivoluzionarie e ruppe clamorosamente con la Destra cattolica. Celebrò il ceto medio come la futura classe dirigente nazionale capace di realizzare una mediazione tra gli interessi diversi della società civile.

Il “Primato” giobertiano (1843) offrì il progetto politico di cui mancavano i moderati, integrando così il dibattito che proprio in quegli anni si stava tenendo sugli aspetti economici dell’unione fra i vari Stati italiani. Per Gioberti, il fondamento su cui edificare il risorgimento italiano non era il popolo italiano (come voleva Mazzini), ma la Chiesa. Il programma giobertiano prevedeva la creazione di una confederazione tra i principi italiani, con a capo il pontefice, e col presidio della forza militare del Piemonte. Questa programmazione suscitò larghi consensi nell’opinione pubblica italiana, ma anche profondi dissensi. Da sinistra lo attaccarono i laici e i democratici, tacciandolo di clericale e reazionario, da destra i Gesuiti. Fu proprio per questo che Gioberti decise di pubblicare una rettifica.

Nei “Prolegomeni del Primato” ribadì la propria filosofia, chiarendo ciò che era rimasto implicito e oscuro nel suo pensiero e sviluppando quello che nel “Primato” era stato ambiguamente accennato. Si distaccò dalle Sinistre rivoluzionarie, confutò aspramente l’utopia di Mazzini, prese le distanze dalla democrazia laica; e contemporaneamente ruppe con la Destra cattolica, con la Compagnia di Gesù. Il suo Cattolicesimo liberale assunse la fisionomia di un movimento moderatamente progressista e riformatore. Presentò come essenziale solo la lega, la confederazione italica, primo e fondamentale passo da compiere per raggiungere l’unità nazionale. Ma l’equilibrio della confederazione non si sarebbe più poggiato sul pontefice: il genio mediatore della confederazione sarebbe stata l’opinione pubblica, che è come dire ceto medio, borghesia. Voleva che il ceto medio diventasse in qualche modo il ceto unico, assoluto, universale. L’apice dell’incivilimento. Secondo questa nuova visione, solo l’unione di tutte le forze vive del Paese intorno al dialettico ceto borghese avrebbe potuto portare alla riconquista della libertà e dell’indipendenza. Tra le forze che avrebbero dovuto collaborare alla realizzazione di questo programma liberale e nazionale Gioberti collocò, insieme agli intellettuali, il partito cattolico: un partito cattolico moderno che, rifiutato il Cattolicesimo teocratico e reazionario dei Gesuiti, fosse capace di organizzare l’intero ceto medio.

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