Il pontificato di papa Pio IX il “liberale”

Il desiderio intimo di Gioberti proteso alla nomina di un papa liberale sembro realizzarsi allorché, alla morte di Gregorio XVI (Belluno, 18 settembre 1765 – Roma, 1º giugno 1846), fu eletto dal conclave, il 6 giugno 1846, a dispetto del veto austriaco, Giovanni Mastai Ferretti, vescovo di Imola, che assunse il nome di Pio IX (Senigallia, 13 maggio 1792 – Roma, 7 febbraio 1878). Animato da una sincera pietà umana e da un’intensa fede religiosa, privo, tuttavia, delle qualità politiche che si richiedono a uno scaltro uomo di Stato, subì la suggestione dell’opinione pubblica italiana che reclamava un papa liberale. Il veto austriaco accrebbe popolarità e fascino alla sua figura. Bastò che egli concedesse un’amnistia per i reati politici poco più estesa di quella che i pontefici erano soliti elargire, perché in tutta la penisola le manifestazioni patriottiche al grido di “Viva Pio IX papa liberale” assumessero un carattere imponente.

Questa propensione collettiva travolse letteralmente il pontefice, trovatosi a dover rappresentare, senza averlo voluto, un ruolo che non gli era proprio, quello del papa redentore d’Italia invocato proprio da Gioberti. Le manifestazioni di massa sopraffecero le resistenze della Curia. Sollecitato dall’idolatria popolare, Pio IX cominciò a svolgere i piani di riforma studiati nel 1831 e mai messi in opera. Approvò così la realizzazione di un tratto ferroviario e concesse l’illuminazione a gas per la città di Roma. Consentì che fosse formato un ministero di laici sotto la presidenza di un cardinale e aprì più largamente ai laici le consulte amministrative. Autorizzò una controllata libertà di stampa e la costituzione della Guardia civica, un corpo armato di cittadini capaci di garantire l’ordine pubblico.

Le riforme papali ebbero larga ripercussione negli Stati italiani. Leopoldo II di Toscana si vide costretto anch’esso a introdurre la Guardia civica, la Consulta di Stato, la libertà di stampa. Poi le riforme lambirono Lucca e Parma. Nel luglio, un tentativo di intimidazione operato da Metternich che, interpretando estensivamente i deliberati del Congresso di Vienna, fece occupare militarmente la città di Ferrara, provocò una vigorosa protesta da parte del pontefice appoggiato da Carlo Alberto, che offrì il proprio esercito a tutela dei diritti minacciati. L’imprudente e maldestra mossa di Metternich fu considerata dall’opinione italiana come la premessa d’una prossima invasione austriaca; si scatenò, quindi, un’istintiva reazione di difesa che preannunciò i temi della guerra santa nazionale.

Sorsero in questo contesto spinte radicalizzanti: la protesta dei ceti provati dalla crisi (professionisti, artigiani, contadini), nonché le manifestazioni dei movimenti di ispirazione mazziniana. Tra il settembre del 1847 e il gennaio del 1848 si ebbero a Milano numerosi tumulti, mentre in tutta Italia aumentavano i sentimenti anti-austriaci. Nei cortei si chiedeva con forza il suffragio universale, costituzione, indipendenza dell’Italia, espulsione dei Gesuiti, guerra all’Austria. Nel mese di novembre fu trovato l’accordo sul progetto d’unione doganale, cosicché i plenipotenziari di Carlo Alberto, di Leopoldo II, di Pio IX firmarono i “Preliminari della Lega”, alla quale avrebbero dovuto aderire tutti gli Stati italiani. Si ebbe invece il rifiuto dei duchi di Parma e di Modena, legati all’Austria, e, prevedibilmente, quello del re di Napoli.

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