La rivolta venne tuttavia sedata dallo zar Nicola I di Russia, che era a conoscenza del fatto che le truppe stessero per dar vita a una rivolta di quel tipo. Le sue guardie erano già preparate a circondare i ribelli, dato anche il dilettantismo e l’approssimazione con cui le operazioni erano state organizzate. I principali promotori del moto di rivolta vennero impiccati, molti degradati dal loro ruolo nell’esercito, circa 600 persone furono esiliate e condannate ai lavori forzati in Siberia e zone limitrofe.
Alla vigilia dell’insurrezione del dicembre 1825 i cospiratori russi si proposero di rivolgere al Paese un manifesto nel quale si indicavano i fini della congiura, ispirati dalla cultura dell’Illuminismo e dalle riflessioni sulla Rivoluzione francese. L’esercito, dal quale provenivano i cospiratori, fu in quegli anni la scuola politica della nuova generazione. Attraverso l’esercito i giovani russi avevano infatti avuto cognizione ed esperienza della civiltà delle nazioni occidentali. E proprio la pratica della vita militare, come anche la guerra, aveva fatto maturare in loro, durante l’età napoleonica, responsabilità civili non scollegate da speranze politiche. Essi si convinsero che l’esercito sarebbe stato lo strumento ideale per la trasformazione della Russia. Condotta dall’esercito, non dal popolo o dai contadini, l’insurrezione, sulla base di previsioni utopiche, non avrebbe recato con sé i massacri e i disordini vissuti dalla Francia.
“La nostra rivoluzione sarà simile a quella spagnola. Essa non costerà un goccio di sangue, visto che sarà fatta dal solo esercito, senza partecipazione del popolo. Mosca e Pietroburgo attendono con impazienza l’insurrezione dell’armata. La nostra Costituzione fonderà per sempre la libertà e il benessere del popolo”.
Queste le parole di uno dei decabristi poi giustiziati.