L’Inghilterra di fine secolo

Diamo ora uno sguardo a quelli che sono gli eventi da dover forzatamente menzionare per obiettiva importanza, prima di procedere ad una profonda analisi di quella che viene ancora oggi considerata la Rivoluzione per eccellenza (Rivoluzione Francese). Si rivela dunque necessaria una descrizione della situazione politica inglese al tramonto del Settecento, funzionale ad una successiva analisi della Rivoluzione Industriale Inglese.

Inghilterra
La “Gloriosa Rivoluzione” (che scandì l’inizio di una monarchia costituzionale che, con la Dichiarazione dei diritti (1689), riconobbe le prerogative del Parlamento e i limiti posti all’autorità regia. Al re rimase sostanzialmente il potere esecutivo. La Gloriosa Rivoluzione ebbe una funzione molto importante oltre a quella di far collaborare i due grandi partiti Whig e Tory che stavano distruggendo lo Stato con le loro continue lotte: essa stabilì un equilibrio tra potere parlamentare e potere regio e dal 1689 in poi, nessun re tentò più di governare senza il Parlamento oppure opponendosi ai voti della Camera) non modificò in maniera sostanziale il sistema rappresentativo inglese.
L’assetto parlamentare si basava sul consenso degli elettori (solitamente i proprietari terrieri con una rendita di 40 scellini), ma non andava esente da gravi difetti. La sezioni elettorali con un numero di votanti in continua riduzione (definite borghi putridi, proprio in virtù del basso numero di votanti), già soppresse da Cromwell, ma ripristinate da Carlo II, erano ancora vigenti sotto la monarchia della regina Anna (1702-14), quindi di Giorgio I e di Giorgio II di Hannover, entrambi di lingua e cultura tedesca eletti dal Parlamento dopo il decesso della sovrana. Esse garantivano la rappresentanza parlamentare della piccola nobiltà. Alcuni seggi elettorali erano a discrezione di alcuni nobili che vi nominavano dei propri uomini. In altre dodici circoscrizioni vigeva il suffragio universale maschile. Diverse incertezze istituzionali riguardavano i ruoli del re, dei ministri e dei loro rapporti. Gli abusi nella vita pubblica erano inoltre all’ordine del giorno, tanto da lasciar perplessi su come a una situazione di questo genere avesse potuto corrispondere sul piano politico-militare la decisa supremazia mondiale inglese nel XVIII secolo.
Eppure il Settecento fu anche il secolo delle grandi personalità della cultura, della politica e della scienza:
Jonathan Swift (scrittore e poeta irlandese, autore di romanzi e pamphlet satirici; uno spirito libero e razionale, considerato tra i maestri della prosa satirica in lingua inglese, attraverso cui si occupò di politica e di religione, mettendo in luce la follia e la presunzione umana);

William Blake (poeta, incisore, e pittore inglese; fu un tipico rappresentante della felice stagione artistica e culturale dell’Inghilterra tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento; trasfuse sia nei suoi dipinti sia nelle illustrazioni della Bibbia, di Shakespeare e di Dante tutta la sua carica visionaria e mistica);

Joseph Butler (filosofo e teologo inglese, vescovo e cappellano della casa reale);

Adam Smith (filosofo ed economista scozzese, che, a seguito degli studi intrapresi nell’ambito della filosofia morale, gettò le basi dell’economia politica classica; tratterò largamente in seguito il suo pensiero, in quanto merita estrema attenzione);

David Hume (filosofo e storico scozzese; è considerato il terzo e forse il più radicale dei British Empiricists (“empiristi britannici”), dopo l’inglese John Locke e l’anglo-irlandese George Berkeley);

Edmund Burke (politico, filosofo e scrittore britannico di origine irlandese, nonché uno dei principali precursori ideologici del romanticismo inglese);

George Berkeley (filosofo, teologo e vescovo anglicano irlandese, uno dei tre grandi empiristi britannici assieme a John Locke e David Hume);

James Watt (matematico e ingegnere britannico);

James Cook (esploratore, navigatore e cartografo britannico; Cook fu il primo a cartografare l’isola di Terranova, prima di imbarcarsi per tre viaggi nell’Oceano Pacifico nel corso dei quali realizzò il primo contatto europeo con le coste dell’Australia e le Hawaii oltre alla prima circumnavigazione ufficiale della Nuova Zelanda; combinando l’arte marinaresca con un grande talento cartografico, nelle sue ardite spedizioni raggiunse zone inesplorate e pericolose, e fu il primo a tracciare le mappe di diversi territori non ancora cartografati);

Fu anche il secolo dei mercanti e degli imprenditori industriali capaci di competere sui mercati internazionali.
Il ventennio ministeriale di Robert Walpole (1721-42, politico britannico. È generalmente ritenuto il 1° Primo ministro del Regno Unito. La posizione di Primo Ministro non era allora sancita dalla legge, ma a Walpole si riconosce di averne esercitato de facto l’ufficio, grazie all’estensione della sua influenza all’interno del Gabinetto) fu contrassegnato da una modifica de facto del sistema governativo, attuata attraverso la carica di primo ministro e il Consiglio dei ministri, che non erano tuttavia formalmente contemplati dall’ordinamento costituzionale vigente. In pratica, Walpole presiedeva in qualità di primo ministro una riunione di alcuni ministri parlamentari da lui scelti, appoggiati dalla Camera dei Comuni, e reciprocamente responsabili delle loro decisioni (potremmo definirlo un informale Gabinetto dei ministri). Una volta definita una linea politica comune, riferiva al re Giorgio I (che non conosceva la lingua inglese). Nacque così una sorta di esecutivo responsabile e unito, che di fatto aumentava il peso del Parlamento nella direzione del Paese e che, comunque, divenne l’elemento caratterizzante della struttura governativa inglese fino ai nostri tempi. Gli sforzi di Walpole, sul piano della politica estera, furono diretti al rafforzamento dell’impero coloniale.

Dopo l’uscita di scena di Walpole nel 1742, ricordato dunque per aver istituito formalmente la carica di primo ministro, seguì un periodo di enorme incertezza politica che si concluse con la nomina nel 1756 di William Pitt il Vecchio (1708-78), una grande figura di parlamentare e politico le cui strategie furono improntate a dare alla Gran Bretagna il primato imperiale sui mari. In questa prospettiva aveva condotto una guerra aperta alla Francia per indebolirne la forza sul continente e per espellerla dal Nord America e dall’India. Pitt tuttavia dovette dimettersi (1761) a causa del disaccordo con il nuovo re, Giorgio III (1760-1820), in ordine alla conduzione delle operazioni militari nel corso della guerra dei Sette anni. Giorgio III tentò di procedere ad una restaurazione delle proprie prerogative reali in senso autoritario, cercando tuttavia di non alterare in alcun modo la Costituzione. La sua politica fu osteggiata dal Parlamento, e in diversi casi suscitò tumulti nella stessa capitale. Il suo atteggiamento intransigente nei confronti delle richieste delle richieste di autonomia avanzate dalle colonie del Nord America fu all’origine della guerra di indipendenza nazionale dei futuri Stati Uniti. La sconfitta inglese fece sì che il sovrano si ritirasse dalla scena politica, affidando il nuovo governo nel 1783 a William Pitt il Giovane (1759-1806) il quale, rimasto sulla scena politica fino all’anno della morte, si impegnò nel tentativo di riformare le regole del Parlamento per arginare la diffusa corruzione, avanzando una pur modesta proposta di riforma (1785) che fu presto bocciata. Egli fu inoltre uno dei più tenaci assertori della necessità di dover sconfiggere la Rivoluzione francese.

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