Le origini sociali degli imprenditori

Il nuovo ceto imprenditoriale protagonista della rivoluzione industriale ha origini sociale molto diversificate: i primi industriali spesso escono dalle file dei bottegai o degli artigiani di campagna. Esemplare in tal senso fu la storia di Richard Arkwright (nella foto), barbiere inglese semianalfabeta, ma geniale esperto di meccanica, il cui nome è inscindibilmente legato alla creazione della macchina per filare il cotone, grazie alla quale divenne ingegnere e imprenditore; Radcliffe, che agli inizi del XIX secolo sarà uno dei più ricchi fabbricanti di manufatti di cotone, proveniva dalla campagna; allo stesso modo, mentre i Peugeot, i futuri colossi della produzione automobilistica, provenivano dal settore tessile e avevano mosso i primi passi nella coltivazione dei campi e nella gestione di osterie e mulini, gli Agnelli, se vogliamo spostarci in Italia, coltivavano il baco da seta prima di diventare imprenditori a tutti gli effetti. Le origini, in tal senso, spesso non coincidono con la possibilità di ottenere successo.

G. Berta, all’interno del suo testo (“Le classi nella rivoluzione industriale: problemi e interpretazioni”), pur ritenendo tuttora valida l’interpretazione classica che radica nell’accumulazione di capitale agrario l’origine del processo di industrializzazione, sottolinea però anche l’importanza degli studi che indicano nella relativa povertà dell’investimento agrario una delle spinte che hanno indirizzato il capitale verso il settore industriale.

Il ceto direttivo di fabbrica – conclude G. Berta – è un ceto dinamico, aperto verso il basso; l’imprenditore, prima che un capitalista, deve essere un uomo dotato di buone conoscenze tecniche, capace soprattutto di organizzare il processo produttivo e anche di interpretare le richieste del mercato. Sono questi i requisiti base di molti managers che, nonostante all’inizio fossero solo capi-operai, riuscirono, comunque, ad acquistare sempre maggiori quote di proprietà e quando divennero padroni dell’azienda a dirigerne finalmente lo sviluppo. Berta osserva inoltre che tanto il processo di industrializzazione quanto l’ascesa dei managers furono facilitati dalle condizioni generali dei singoli paesi: ad esempio nel modello inglese ebbero un ruolo primario non solo le particolari condizioni di mobilità della mano d’opera innescate dalla precedente rivoluzione agraria, ma anche i livelli medi di istruzione conseguiti grazie ad un sistema educativo che offriva ai ragazzi provenienti dalle più disparate condizioni sociali gli strumenti indispensabili per gestire i nuovi processi produttivi.

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