Molti altri settori della produzione compirono una profonda trasformazione e la svolta fu sempre segnata dalla larga utilizzazione che gli industriali più dinamici e lungimiranti seppero fare di alcune innovazioni tecniche e di alcune macchine di nuova generazione. Un esempio ne sono la calce idraulica, che rivoluzionò i sistemi dell’edilizia, la piallatrice e la perforatrice meccanica, la macchina per cucire e quella per scrivere, il gas illuminante, la fotografia. Non meno importanti i ritrovati della scienza chimica che mutarono totalmente i metodi di colorazione dell’industria tessile introducendo il cloro, prodotto sinteticamente al posto dello zolfo, per il candeggio. Per far fronte alle richieste di vetrerie e dei saponifici si produsse la soda trattando il sale marino con acido solforico: nacque, con le prime fabbriche di “soda Leblanc”, la chimica industriale.
Il nuovo modo capitalistico e industriale di produzione tende sempre di più a tentare di trovare degli elementi che portino ad un notevole aumento del profitto nel breve termine. L’accumulazione del denaro diventa il fine ultimo. In sintesi, questo cessa di essere, come nell’economia mercantilistica e precapitalistica, il mezzo che facilita gli scambi; diventa, invece, il fine stesso della produzione, accrescendosi vertiginosamente e trasformandosi in strumento di potere, di egemonia sociale e politica. Proprio su tali basi si comincia ad innestare il discorso di Karl Marx, il quale penetrò negli anni del pieno trionfo dell’era industriale la dinamica di questo processo, indicando nella fabbrica il luogo ove si realizza, a spese dell’operaio, la crescita sconsiderata del denaro. Infatti, secondo tale tesi, nel nuovo sistema di produzione l’operaio viene retribuito solo per una piccola parte della forza-lavoro da lui impiegata, quella che assicura la sua sopravvivenza; tutto il resto, il plusvalore, serve al capitalista per accrescere la propria ricchezza.