Le macchine e la fabbrica: parte I.

Quando ci si trova dinanzi ad una rapida ed improvvisa crescita tecnologica e sociale che si realizza all’interno di un sistema economico, è normale che si riveli l’inadeguatezza, nonché l’arcaicità, di tutti quegli elementi che si trovano strettamente legati al protagonista della suddetta evoluzione. Dunque, le aumentate richieste del mercato (di cui abbiamo dato conto nel precedente articolo) e le esigenze di consumo di una popolazione vertiginosamente accresciuta rivelarono quanto fosse inadeguato il sistema tradizionale fino ad allora in vigore di trasformazione delle materie prime in merci e manufatti, come anche la scarsezza in termini di produttività delle macchine utilizzate. Era un sistema di tipo familiare, costituito da operai rurali che lavoravano in casa d’inverno e, nelle pause consentite dal calendario agricolo, si improvvisavano venditori ambulanti, o affidavano i loro prodotti a degli intermediari, ai cosiddetti mercanti imprenditori. L’insufficienza di questo sistema di produzione e di distribuzione si rivelò vistosamente nei settori destinati ai consumi di massa, anzitutto al tessile e al metallurgico.

Proprio nei decenni in cui aumentava la richiesta dei mercati, sulle banchine dei porti inglesi si accumularono grandi quantità di fibre tessili provenienti dall’Asia e dall’America. Pochi lungimiranti imprenditori seppero trarre profitto da questa occasione storica: essi pensarono di poter rendere più efficiente e più rapido il processo di produzione utilizzando opportunamente alcune invenzioni tecniche più o meno recenti.
Per i tessili la svolta fu segnata dall’applicazione del vapore (macchina a vapore, inventata da James Watt nel 1769) alle ruote dei telai, sino a quel momento messe in movimento dalla forza delle braccia o dalla corrente dei fiumi, nonché dalla meccanizzazione delle operazioni di tessitura grazie alla larga diffusione della spoletta automatica. Il successo di queste iniziative trasformò i pionieri della prima ora in legione. Al posto delle vecchie manifatture tessili collocate presso i corsi d’acqua sorsero le fabbriche poste nelle vicinanze della città che offriva le sue grandi riserve di forza-lavoro proletaria. L’altra grande risorsa era data dalle nuove fonti di energia, con le macchine a vapore che sostituirono la forza idrica, con le fabbriche che lavoravano sempre di più e con maggiore intensità.

L’industrializzazione e l’introduzione di macchine innovative portò dunque ad un’impennata della produzione ed al crollo dei prezzi. Per quanto riguarda i tessili, di fronte al pericolo d’una prima crisi di sovrapproduzione, gli imprenditori inglesi non chiusero le fabbriche ma seppero dilatare i consumi negli strati inferiori della popolazione. I loro prodotti invasero i pmercati, le botteghe, le fiere paesane: si apriva così l’era del cotone.

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