Le contraddizioni dell’età della Restaurazione

Dal 1789 – l’anno della Dichiarazione dei diritti dell’uomo – al 1815 – anno della definitiva sconfitta di Napoleone – il mondo aveva subito profonde trasformazioni. Erano crollati antichi regni e nuovi ne erano sorti di conseguenza, pur se destinati ad una breve vita; l’antico modo di concepire lo Stato era stato travolto, ed ai tradizionali rapporti di dipendenza si erano sostituite nuove forme di associazione tra gli uomini, come ad esempio la cittadinanza e la nazionalità.

Con la rivoluzione industriale, come abbiamo visto, erano state utilizzate forme di energia prima sconosciute, e si erano sperimentati nuovi sistemi di produzione. Erano cambiati la dimensione della ricchezza, la struttura delle classi sociali, l’aspetto delle campagne e della città, gli stili di vita dei più e i modi di vivere e di aggregarsi. La sconfitta della Rivoluzione ed il crollo di Napoleone sembrarono riportare indietro di anni la storia recente del mondo. Tutte, o quasi tutte, le novità ed i progressi ottenuti furono condannati: i monarchi tornarono sui loro troni, l’aristocrazia offesa pretese la sua rivincita, le teorie dell’assolutismo e della teocrazia tornarono in auge, avanzarono le formule dell’alleanza fra trono ed altare. Le esperienze delle ultime generazioni, tuttavia, non poterono essere cancellate dalla mente degli esseri umani, e l’età della Restaurazione (termine con cui si indica il periodo compreso tra il 1815 e il 1830, quindi tra il Congresso di Vienna e la nuova ondata rivoluzionaria in Francia e in Europa) fu segnata dalla coesistenza ed insieme dallo scontro, entro la stessa società, di culture diverse e di forze sociali antagonistiche.

Anche se spesso costrette a forme illegali e sotterranee di comunicazione, le lezioni del liberalismo (atteggiamento etico-politico dell’età moderna e contemporanea, tendente a concretarsi in dottrine e prassi opposte all’assolutismo, fondate essenzialmente sul principio che il potere dello Stato debba essere limitato per favorire la libertà d’azione del singolo individuo) e del costituzionalismo convissero e sovente si scontrarono in quei decenni con le dimostrazioni, teoriche e pratiche, dello statalismo autoritario e conservatore.

Anche l’esperienza culturale (e non solo) più largamente diffusa nell’età della Restaurazione, il Romanticismo, fu espressione di questa contraddizione che trovò un riscontro quasi simbolico nelle interpretazioni liberali e in quelle reazionarie di tale movimento. Il contrasto che si manifestava nelle forme del pensiero e della cultura aveva le sue radici nell’antitesi di classe che segnava la società della Restaurazione: la riscossa della nobiltà che tornava prepotentemente a candidarsi come classe dirigente non poteva non scontrarsi contro gli interessi rinnovati della borghesia, tutt’altro che disposta ad abbandonare le posizioni di potere che aveva ormai conquistato tanto nella gestione della società che nell’amministrazione dello Stato.

Questo clima contraddittorio trovò il suo sbocco nelle rivoluzioni del 1830 e del 1848, ovvero quando gli assetti imposti all’Europa dal Congresso di Vienna trovarono le prime significative revisioni.

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