La Repubblica napoletana

Un’esperienza breve ma fulgida fu quella della Repubblica napoletana. Vediamo gli avvenimenti che la caratterizzarono.

Sorta nel gennaio del 1799, dopo la fuga di Ferdinando IV di Borbone rifugiatosi in Sicilia, essa fu sostenuta dalla cerchia intellettuale napoletana, erede del rinnovamento promosso da Carlo III negli anni dell’assolutismo illuminato; purtroppo, tutti i suoi rappresentanti caddero vittime della reazione che si abbatté su Napoli al ritorno dei Borbone.

Abbandonata dai Francesi, che rifluivano verso il Nord Italia per fronteggiare l’imminente arrivo degli Austro-Russi, la Repubblica tentò di resistere con le sole sue forze all’offensiva della Seconda coalizione. Questa coraggiosa determinazione fu però resa vana dall’isolamento in cui i patrioti vennero a trovarsi non solo di fronte alle masse contadine, ma anche agli stessi popolani di Napoli. Incaricato dal re di riconquistare il regno, il cardinale Fabrizio Ruffo era riuscito infatti a mobilitare contro i Giacobini, quasi per una nuova crociata contro gli infedeli, migliaia di contadini, che, inquadrati in bande, si scatenarono contro le persone affiliate al nuovo regime. Quando nelle campagne e nelle province i vecchi ceti terrieri e i gruppi borghesi impauriti dalla rivoluzione accorsero anch’essi sotto le bandiere del Ruffo, il blocco reazionario era ricostituito e le sorti della Repubblica segnate. Alla notizia che le forze francesi erano state sconfitte nell’Italia settentrionale, anche Napoli, difesa da pochi nuclei di patrioti che ne presidiavano i castelli, dové piegarsi alla resa (giugno 1799).

Di fatto, i patrioti avevano saputo compiere una scelta difficile in un momento cruciale della storia d’Europa. Abbandonando i compromessi moderati dei riformatori, aveva osato schierarsi con la Rivoluzione di Francia, nella quale vedevano la speranza del futuro, la prospettiva d’un mondo migliore. Anche nell’esperienza pratica del governo si mossero sulla strada giusta promovendo, attraverso atti legislativi intraprendenti, il riscatto civile e sociale delle masse contadine, sottraendole al giogo baronale e alla servitù delle decime da pagare alla Chiesa; ma la loro azione, minata all’interno dai contrasti tra destra moderata e sinistra radicale, risultò lenta e inefficace, anche in ragione del tempo estremamente breve di cui essi poterono disporre. Era perciò fatale che i contadini prestassero orecchio alla propaganda del clero, che denunziava i Giacobini come pericolosi sovversivi, nemici della religione e della povera gente, ed accorressero ad ingrossare l’esercito della Santa Fede. Nacque dunque una vera e propria lotta di classe, combattuta contro le forze che lottavano per l’emancipazione di tutta la società.

Concludendo questo breve percorso relativo alle repubbliche italiane sorte in tale contesto, possiamo affermare che in Francia il giacobinismo aveva trovato il suo significato nella realizzazione di un’alleanza tra borghesia avanzata e forze popolari, un’alleanza che seppe diventare forza egemone e spezzare politicamente e militarmente lo schieramento avversario; il giacobinismo italiano, invece, costretto ad operare nel quadro d’una società profondamente diversa da quella francese, non riuscì a stabilire rapporti organici con le forze popolari e contadine, né riuscì ad impedire che quelle forze venissero assorbite entro il blocco reazionario. Così la storia del giacobinismo italiano sembra coincidere con quella d’una minoranza sconfitta. Resta il fatto che, tuttavia, la lezione dei Giacobini – la connessione di nazione e libertà – sia rimasta alla base della storia italiana del Risorgimento.

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