La nascita delle tesi “neoguelfe”

In Italia fioriscono le tesi “neoguelfe”.

Il rifiorire degli studi storici nel primo Ottocento ispirò nel 1833 la fondazione a Torino della prima “Deputazione di storia patria” e successivamente, nel 1841, a Firenze, la pubblicazione dell”Archivio storico italiano”. Si raccolsero intorno a queste iniziative eminenti storici e letterati: annoveriamo non solo il lombardo Alessandro Manzoni (1785-1873) e il toscano Gino Capponi (1792-1876), ma anche i napoletani Carlo Troya (1784-1858) e Luigi Tosti (1811-1897), il torinese Cesare Balbo (1789-1853), il dalmata Niccolò Tommaseo (1802-1874).

Alla base dei loro studi era innanzitutto l’esigenza primaria di porre in risalto la tradizione storica delle singole nazioni nel quadro unitario della civiltà europea. Essi sentivano fortemente la suggestione del Medioevo come l’età che aveva segnato il sorgere delle grandi formazioni nazionali; ma, mentre per altri la rivalutazione del tanto chiacchierato Medioevo si concludeva definitivamente con un anacronistico sogno feudale-reazionario, essi consideravano quell’età come il germe vivo del presente e del futuro, più propriamente il crogiolo delle nazioni. Con generosa tendenziosità indicavano nella Chiesa e nel Papato le forze promotrici del progresso e, non secondariamente, della libertà. Queste tesi, che furono dette “neoguelfe”, si concluderanno infine nell’espressione del pensiero di Vincenzo Gioberti (Torino, 5 aprile 1801 – Parigi, 26 ottobre 1852), presbitero, patriota e filosofo italiano e il primo Presidente della Camera dei deputati del Regno di Sardegna, esponente di primo piano del Risorgimento italiano, che ne accoglierà le varie istanze nel suo credo e programma politico.

Contro le tesi neoguelfe entrarono in campo senza esitare minimamente Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), Giovanni Battista Niccolini (1782-1861), Giuseppe La Farina (1815-1863) e Gabriele Rossetti (1783-1854). Erano tutti letterati e storici del tempo. Costituirono con un’unità d’intenti la scuola “neoghibellina”. Ripetevano l’accusa di Machiavelli al Papato: la decadenza dell’Italia cominciava col predominio cattolico sulla penisola; spesso in loro la polemica veemente soverchiava la correttezza dell’impostazione storica, peraltro ammirevole. Erano fieramente anticlericali, aspiravano a un Cristianesimo ammodernato, anti-gerarchico, più popolare; alcuni fra loro professavano l’irreligione.

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