La formazione del linguaggio operaio nella rivoluzione di Luglio

Altra peculiarità della rivoluzione di Luglio fu la formazione di un linguaggio operaio esclusivo.

Gli operai di Parigi, apparsi sulla scena politica nella rivoluzione del 1830, quando si erano mossi al grido di “Viva la libertà!”, capirono ben presto che la loro idea di libertà era decisamente distante da quella che ne aveva il governo e scoprirono altresì la loro difficoltà di utilizzare un linguaggio che consentisse di esprimere al meglio le loro richieste. Nacque pertanto la duplice esigenza di trovare un organo che rappresentasse al meglio gli interessi della classe operaia e un modo per riformulare ed enunciare con maggiore forza le loro posizioni e le loro rivendicazioni.

Nel mese di settembre apparvero così tre giornali scritti e pubblicati interamente da operai, che si posero come un contraltare vero e proprio ai periodici gestiti dai borghesi, incapaci a loro dire di parlare il linguaggio degli operai e di esprimere le loro posizioni. Nell’analisi del linguaggio utilizzato all’interno di questi giornali, in particolare ne “L’Artisan”, W.H. Sewell jr., autore del testo “Lavoro e rivoluzione in Francia. Il linguaggio operaio dall’ancien régime al 1848”, ravvisa la presenza di una retorica rivoluzionaria che recupera almeno in parte il linguaggio del 1789 e che suona quasi paradossale dopo le recenti sconfitte subite dagli operai.

Ma la retorica rivoluzionaria, sottolinea l’autore, offriva comunque una grande possibilità: “Essa li convalidava in quanto attori legittimi sulla scena pubblica e li investiva del potere di un discorso intellegibile. Era soltanto come rappresentanti del popolo sovrano – come produttori di tutta la ricchezza – che essi potevano attirare l’attenzione del governo e delle classi dirigenti. I redattori de “L’Artisan” e le legioni di lavoratori che li seguivano l’avevano compreso perfettamente”.

Interessante poi la trattazione che viene fatta dall’autore per quel che concerne l’idioma sviluppatosi in quel contesto storico all’interno della classe operaia. “Nel 1830 le corporazioni erano solidamente inserite nelle città di tutta la Francia con il loro caratteristico insieme di costumi, riti, formule destinato a modellare la condotta dei loro affari quotidiani, ciò che abbiamo definito ‘idioma corporativo’. Derivato dalle tradizioni corporative dell’ancien régime e creato per opposizione agli interessi dei padroni e all’individualismo imposto dallo Stato, quell’idioma corporativo esprimeva e nutriva le aspirazioni degli operai ad una comunità morale di mestiere. Inoltre, se alcuni padroni rifiutavano frequentemente le proposizioni corporative e si limitavano ai loro diritti di proprietari individuali, la maggior parte comprendeva senza dubbio tale idioma e operava talvolta entro le sue premesse, quando ciò era necessario. Nell’ambito dei mestieri urbani qualificati, l’idioma corporativo non era soltanto all’origine dei conflitti, ma anche degli accordi che li risolvevano […] Gli operai, sviluppando un vocabolario corporativo, trovarono un proprio modo di espressione nei primi anni del diciannovesimo secolo e sebbene quel linguaggio fosse mirabilmente adatto agli affari interni della loro professione, esso li privava della possibilità di accedere al dominio del discorso pubblico”.

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