La “Petizione cartista” del 1838

La “Petizione cartista”, presentata alla Camera dei Comuni nel 1838 con oltre un milione e duecentocinquantamila firme, ebbe il notevole merito di indicare chiaramente in principi sui quali deve idealmente fondarsi uno Stato effettivamente democratico: suffragio universale (anche se per il momento solo maschile), votazione segreta, uguaglianza dei collegi elettorali, abolizione di tutti i requisiti di proprietà per l’elezione a deputato, concessione di un’indennità parlamentare. La petizione fu tuttavia respinta e la “Carta del popolo” che con essa si chiedeva restò lettera morta. Non venne però scritta invano. Tracciò, infatti, la strada che si doveva percorrere nel prossimo futuro.

La richiesta più qualificante, oggetto peraltro di appassionati dibattiti (i celebri “Dibattiti di Putney”, da parte di ufficiali e soldati dell’esercito di Cromwell nel 1647), fu senz’altro quella relativa al suffragio universale. Nella petizione compaiono inoltre le esigenze di due distinte classi sociali strettamente alleate, la piccola borghesia radicale e la classe operaia: “I nostri commercianti tremano sull’orlo del fallimento; gli operai muoiono di fame. Il capitale non dà profitti e la mano d’opera non ha il compenso”. La legge elettorale del 1832 non aveva deluso solo le masse (“da schiavi siamo passati ad essere apprendisti della libertà”), ma, lasciando immutato il suffragio censitario (10 sterline annue di reddito per divenire elettori), aveva deluso anche la piccola borghesia. Di qui l’intesa tra le due classi per strappare al Parlamento una riforma elettorale più avanzata. Ragione e giustizia militavano a favore di questo tipo di richiesta: “Quando lo Stato invoca chi lo difenda, quando chiede denaro, non c’è riguardo di povertà e d’ignoranza da addurre per rifiutare o ritardare la risposta a quegli appelli”.

Dopo che il Parlamento ebbe respinto la “Carta del popolo”, l’alleanza tra la piccola borghesia e il proletariato si ruppe inevitabilmente. Gli interessi particolari prevalsero e la classe operaia prese da allora a battere vie proprie, volgendosi più alle rivendicazioni di carattere sindacale che a quelle di carattere politico.

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