La battaglia del Col Basson

Agosto 1915: la battaglia del Col Basson, Prima guerra mondiale.

Combattuta presso la Piana di Vézzena, un vasto pianoro montuoso situato nella parte nord-ovest dell’Altopiano dei Sette Comuni (nella Regione Trentino-Alto Adige), tra l’Italia e l’Austria-Ungheria, la battaglia del Col Basson vide una vittoria difensiva di questi ultimi.

Allo scoppio del conflitto, sull’Altopiano di Vezzena (fronte italiano) era presente una linea difensiva austriaca formata da opere corazzate, il forte Luserna, il Verle e il pizzo di Levico. Dopo pesanti giorni di bombardamenti da parte italiana, i forti austriaci erano vicini al collasso. Il 28 maggio 1915 vi fu un tentativo di resa da parte del forte Luserna, che però non venne prontamente sfruttato dagli italiani. Il successivo attacco da parte della fanteria italiana, avvenuto nella notte del 30 maggio, non ottenne alcun successo di rilievo. La linea fortificata austriaca non venne superata, né seriamente compromessa. Il 12 giugno gli austriaci colpirono in pieno il Forte Verena con una granata, uccidendo 40 uomini e creando gran panico tra i comandi italiani, che avevano riposto grande fiducia sul Verena. Si creò quindi una situazione di stallo.

Tra il 24 agosto e il 25, dopo un intenso bombardamento durato 10 giorni condotto dalle artiglierie italiane, si scatenò l’attacco delle fanterie sul Col Basson, difesa da tre linee di reticolati. L’attacco italiano, condotto dal 115º reggimento della brigata Treviso, fallì completamente per la mancanza di mezzi adeguati per superare i reticolati. I forti nemici, pur se duramente provati dai bombardamenti dei giorni precedenti, erano ancora efficienti e indirizzarono il loro micidiale fuoco sui fanti impigliati nei reticolati.

Qui di seguito riporto la testimonianza di Paolo Ciotti, militare, 116° reggimento fanteria, brigata Treviso, da sottotenente a capitano:

“Sappiamo intanto che il nostro Reggimento sarà tenuto in riserva e non si muoverà se non per dare il cambio alle truppe che eventualmente conquistassero la prima linea di trincee al nemico. Pericolo ce n’è quindi anche per noi e non sappiamo come riusciremo ad evitare il combattimento. L’azione sarà compiuta dal 115° Fanteria nel settore Basson-Costa Alta; dal 161 a 162 Fanteria, contro Busa di Verle; contro il Forte Spitz Verle agiranno gli alpini. Noi del 116, di riserva.

Il bombardamento intanto comincia all’alba del giorno 15 Agosto; per ora sono i grossi calibri che iniziano il fuoco contro la linea dei Forti. Il piano è magnifico: 10 giorni di bombardamento continuo e quando usciranno le fanterie, sarà già incominciato da qualche tempo il fuoco tambureggiante dei piccoli calibri.

Il 24 lasciamo l’accampamento; ci forniscono di scatolette di carne in conserva, cartucce ecc., indi, a sera, quando è buio, perché il nemico non ci scorga, ci dirigiamo verso Marcai di Sotto […]

Il fracasso intanto è assordante, il bombardamento è intenso e fra poco diventerà addirittura tambureggiante. Il nemico non reagisce, ed io colgo l’occasione per scrivere al chiaro di luna, in un biglietto da visita l’indirizzo di mio fratello; se dovessi morire, ci sia almeno una carta di riconoscimento! Sono le 23; la numerosa artiglieria da montagna apre il fuoco sulla prima linea nemica. E’ l’inferno! Il nemico sfila ora qualche razzo, perché è oramai sicuro che fra poco la nostra Fanteria avanzerà. Comincia anche a reagire con l’artiglieria. Il primo shrapnel scoppia altissimo. Ma nessuno osa canzonare “Cecchino” che ha tirato quel colpo sbagliato. La Fanteria sa che i primi colpi sono sempre alti, perché di prova. Dopo vengono quelli calcolati bene e allora bisogna proprio pregare Dio per l’anima nostra! Fortuna volle che il nemico tirasse ovunque fuorché nel mio tratto di linea. Penso a quelli che sono bersagliati e che fra poco avanzeranno.

A mezzanotte si ode ovunque della fucileria e anche il caratteristico – ta – ta – ta – ta – delle mitragliatrici. I Forti austriaci, creduti distrutti dal nostro fuoco, sparano violentemente. Il Luserna spara a zero sulle truppe che operano sul Basson. Stiamo accovacciati nelle trincee, dove spesso giungono scheggie infuocate di granata. Anche le vedette sparano alla cieca; sentiamo le pallottole fischiare poco sopra della testa con quel loro ronzìo delicato che non sembra portatore di morte. Aspettiamo da un momento all’altro con trepidazione l’ordine di avanzare, ma fortunatamente ciò non avviene. Se dovessimo muoverci ora, quante perdite avremmo!

Intanto giungono le prime notizie. Sono dolorose. Il 115 ha attaccato il Basson con slancio impareggiabile, ma ha dovuto ritornare nelle posizioni di partenza. Si racconta anche che alla testa della 1° ondata di assalto si sia messo il Colonnello Ravelli, Comandante del Reggimento, che fosse vestito in alta uniforme con sciabola sguainata e che la fanfara reggimentale, dietro ordine suo, abbia suonato l’assalto a cinquecento metri di distanza dalla trincea avversaria. Forse credeva, che dopo il bombardamento intenso durato 10 giorni e 10 notti, gli austriaci a guardia della trincea fossero morti tutti, viceversa si seppe che i nostri soldati furono accolti con grida ironiche di “Avanti italiani, Savoia, italiani!”.

Anche le notizie che giungono dalla Brigata Ivrea, che opera alla nostra destra, sono pessime. Quei meravigliosi fanti e gli alpini hanno cozzato contro difficoltà insormontabili; il Busa di Verle ha fatto fuoco da tutte le cupole e lo Spitz Verde, lo stesso. Mi viene a memoria che pochi giorni prima io, dall’osservatorio del Tenente Cerasoli, ebbi occasione di vedere un Ufficiale austriaco traversare un tratto di terreno scoperto insieme ad una donna, e penso ora che se il nemico in pieno bombardamento si dilettava con delle sgualdrine nei suoi Forti e nelle sue trincee, doveva essere ben sicuro che l’attacco italiano non poteva riuscire! Giungono intanto i primi feriti; qualcuno si trascina da solo al posto di medicazione, che come ho detto, è a pochi passi da me; qualche altro invece arriva in barella ed è male conciato. Ricordo sempre il caso di un povero fante che giunse senza un braccio e mostrava il moncherino sanguinante.

Benché vi siano vari posti di medicazione, molti e molti feriti arrivano nel nostro. Sono soldati di diversi Reggimenti che si sono confusi nell’impeto dell’assalto. Ma la maggioranza, sono del 115°.

L’attacco è dunque fallito in pieno, ma deve riprendersi ad ogni costo. Tali sono gli ordini degli alti Comandi, che fanno la guerra e dirigono da lontano, entro un sicuro “fifauss”.
Albeggia ed ora vedo distintamente le varie ondate lanciarsi urlando sulle alture del Basson. Esse ondeggiano, si allargano, si raggruppano, si gettano a terra. Su di loro scoppiano bassissimi gli shrapnels e dalle vicine trincee gli austriaci fanno fuoco con fucili e mitragliatrici.

Qualche granata arriva a che sulle nostre linee, onde impedire i rincalzi. Ma l’eroismo dei nostri fanti è inutile anche questa volta. Dopo aver lasciato sul terreno la maggior parte dei loro compagni, essi ritornano al punto di partenza.

Vedo correre, agitarsi sulla sommità della collina. Un soldato sventola una enorme bandiera bianca; deve essere un latore di ordini. La carovana dei feriti non termina; alcuni miei soldati, cessato il combattimento ne scorgono uno a terra che muove ora una gamba, ora un braccio. Gli vanno incontro e lo trovano intento a mangiare una scatoletta di carne. Era ferito a entrambe le gambe, non poteva muoversi, ma era tranquillo. Oh! l’eroismo sublime, e questa volta purtroppo inutile, dei nostri soldati!”.

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