La nuova Francia orleanista

Il disinteresse mostrato dal governo francese nei confronti dei moti liberali e nazionali verificatisi in Polonia e in Italia corrispondeva al nuovo corso delineato dalla monarchia orleanista. Jean Paul Pierre Casimir-Périer (Parigi, 8 novembre 1847 – Parigi, 11 marzo 1907), anch’egli banchiere come Jacques Laffitte (1767-1844), e, dopo di lui, Marie Joseph Louis Adolphe Thiers (Marsiglia, 15 aprile 1797 – Saint-Germain-en-Laye, 3 settembre 1877) e François Pierre Guillaume Guizot (Nîmes, 4 ottobre 1787 – Abbazia di Val-Richer, 12 settembre 1874), impressero al governo un orientamento moderato-conservatore, finendo con l’essere avversati dai democratici almeno quanto lo erano stati i Borbone.

Trovarono, comunque, il sostegno della borghesia capitalistica che esigeva un governo di impronta liberale, capace di interpretare il cambiamento della società, ma al contempo in grado di assicurare ordine e tranquillità. Furono così soffocate sanguinosamente le rivolte operaie che, nei primi anni Trenta, posero a repentaglio il potere della borghesia uscita vittoriosamente dalle giornate di luglio. I governi non esercitarono la loro azione di repressione solo nei confronti della classe operaia e dei gruppi della sinistra repubblicana; tennero sotto controllo anche la destra legittimista, fedele ai Borbone del ramo diretto. All’opposizione si schierarono anche i bonapartisti, fautori d’un altro napoleonide, Carlo Luigi, il futuro Napoleone III, figlio di Luigi Napoleone ex re d’Olanda.

In una società politica che la rivoluzione industriale e l’estensione del suffragio avevano reso sostanzialmente più ampia, sorsero due nuovi partiti, il socialista e il cattolico. Quest’ultimo, da difensore del trono e dell’altare quale era stato fino ad allora, si trasformò in un movimento in difesa della libertà politica e del sistema parlamentare, considerati i mezzi più adatti per far trionfare la causa cattolica in un Paese che si stava avviando rapidamente verso la modernità.

Nella Francia orleanista, tra il 1830 e il 1848, il liberalismo precisò il suo significato e, da esigenza puramente romantica, si trasformò nella teoria della sovranità dei ceti medi che volevano mantenersi lontani tanto dalle rivendicazioni degli “Ultras” quanto dalla democrazia socialista. Il superamento delle differenze di classe e la realizzazione della perfetta uguaglianza avrebbero portato necessariamente al dominio di un solo uomo o, al massimo, alla dittatura di una minoranza. Le spinte democratiche dovevano per cui trovare un necessario contrappeso nell’opera di una élite illuminata, regolatrice del movimento, alla quale affidare il potere politico.

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