La Francia prima della Rivoluzione

Quale è stata l’importanza della Rivoluzione che ebbe luogo in Francia rispetto all’evoluzione della specie umana dal punto di vista politico, economico, istituzionale, storico è ben noto a tutti. Fu un avvenimento che sconvolse profondamente la mentalità, gli stili di vita propri di un’età ormai giunta alla conclusione del suo percorso storiografico; e proprio la storiografia la considera un vero e proprio spartiacque temporale tra l’età moderna e l’età contemporanea. Un insieme di avvenimenti che, come più immediata conseguenza, portò all’abolizione della monarchia assoluta, come anche alla proclamazione della repubblica, con l’eliminazione delle basi economiche e sociali del cosiddetto ‘Ancien Régime’; e ancora, all’emanazione della ‘Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino’ (testo giuridico contenente una solenne elencazione di diritti fondamentali dell’individuo e del cittadino), che divenne il fondamento delle costituzioni moderne.

Segnando il declino dell’assolutismo, e pur terminando con il periodo imperiale-napoleonico e la successiva restaurazione da parte delle aristocrazie europee, la Rivoluzione francese ispirò le rivoluzioni a connotazione borghese liberali e democratiche che seguirono nel XIX secolo (i moti rivoluzionari), le quali diedero definitivo impulso alla nascita di un innovativo sistema politico, sotto il nome di Stato di diritto -forma di Stato che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dell’uomo, insieme alla garanzia dello stato sociale- o Stato liberale -forma di Stato che si pone come obiettivo la tutela delle libertà o diritti inviolabili dei cittadini, assicurata dalla legge-, in cui la borghesia divenne classe dominante.

Ma quali furono gli eventi che portarono a tutto questo?

Vediamo innanzitutto la situazione della Francia nei decenni precedenti la Rivoluzione.
La monarchia di Luigi XV (1715-74), successore del Re Sole, fu contrassegnata da un sostanziale indebolimento dell’autorità regale, incapace ormai di rappresentare il Paese contro il particolarismo degli interessi dei ceti privilegiati. Del resto, lo Stato francese era alla prese con un grave deficit del debito pubblico, sanabile solo con una eventuale modifica dell’impianto del sistema fiscale tesa ad allargare la base contributiva al clero e alla nobiltà. Non ebbe tuttavia buon esito il tentativo promosso dal controllore generale delle finanze Machault di introdurre una tassa sul clero nel 1749, né Luigi XV fu in grado di neutralizzare le resistenze opposte al piano di risanamento fiscale progettato dal suo ministro.

Le esigenze militari spinsero Luigi XV a tentare nuovamente di percorrere la via di una riforma fiscale nel corso della guerra dei Sette anni (considerata la prima vera guerra mondiale, in quanto si svolse non solo nel continente europeo, ma anche nelle Americhe, in Asia meridionale e in Africa occidentale, dove le potenze europee avevano possedimenti coloniali. Il conflitto segnò la definitiva affermazione della Prussia come potenza continentale e della Gran Bretagna come principale potenza marittima e coloniale) chiamando al governo il duca Francois de Choiseul, vicino agli economisti fisiocratici. La linea da lui seguita entrò immediatamente in contrasto con i parlamenti che non accettavano di rendere soggetti fiscali anche i nobili e di basare il nuovo prelievo tributario su un catasto. Si costituì così un pericoloso fronte anti-fiscale che minacciava la stessa permanenza al trono del monarca. Questi decise di nominare l’abate Maupeou cancelliere, ma lo scontro non accennò a diminuire; comunque, nel periodo del cancellierato di Maupeou il deficit scese consistentemente.

La morte di Luigi XV nel 1774 pose fine a questo contrasto. Il nuovo sovrano, Luigi XVI (1774-93), restituì ai parlamenti le loro piene funzioni. Anche Luigi XVI sentiva, tuttavia, l’improrogabile esigenza di dare al Paese un sistema fiscale adeguato a uno Stato moderno. Egli nominò dunque controllore generale delle finanze una delle menti più brillanti del pensiero economico francese di allora, l’economista e teorico fisiocratico Turgot, collaboratore dell’Encyclopédie. Questi si rivelò un abilissimo e lungimirante ministro, e nell’arco di due anni si impegnò in una serie di iniziative che, se fossero andate effettivamente in porto, avrebbero probabilmente sanato il deficit della bilancia statale e messo a disposizione della monarchia importanti fondi per condurre una politica indipendente dalla nobiltà. In sostanza avrebbe voluto instaurare una giustizia fiscale basata su un’imposta unica sulle proprietà fondiarie oggettivamente stabilita in base a un catasto, come anche tentare di sottrarre il monopolio delle esazioni tributarie ai finanzieri privati. Inoltre, liberalizzò completamente la circolazione dei grani all’interno e all’esterno del Paese e riuscì a eliminare in parte le corporazioni.
Queste misure liberistiche suscitarono, tuttavia, forti resistenze sia da parte aristocratica, sia da parte di alcuni settori mercantili e artigianali, tradizionalmente legati a interessi protezionistici. Luigi XVI, che non intendeva giungere a uno scontro frontale con questi gruppi di potere, decise di licenziare il ministro. Da questo momento in poi ci fu un avvicendamento di controllori generali delle finanze, tutti alle prese con un debito pubblico che stava andando alle stelle.
La Francia stava ormai procedendo inevitabilmente verso la prossima convocazione degli Stati Generali, di cui parleremo nel prossimo articolo…

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