La dittatura di Robespierre

Il periodo in cui la Francia si sottomise alle volontà di Maximilien de Robespierre, politico, avvocato e rivoluzionario francese, probabilmente il più noto e tra i più controversi protagonisti della Rivoluzione francese, è solito essere indicato con l’appellativo de ‘Il Grande Terrore’. Vediamo perché…

Sarebbe errato credere che la Montagna costituisse un blocco compatto di volontà; al contrario si assiste al divampare al suo interno di una lotta fra le fazioni dei cosiddetti Indulgenti, guidati da Georges-J. Danton, e degli Arrabbiati, capeggiati da Hérbert e fautori di una politica di intervento statale nell’economia, per cui chiedevano, ad esempio, la fine di qualsiasi libero commercio, considerando ogni mercante uno speculatore per sua natura. Al centro, tra le due fazioni appena citate, in posizione di forza per il controllo che esercitava sul Comitato di salute pubblica, è Robespierre col gruppo dei suoi seguaci. La politica di Robespierre rispondeva a quella esigenza di mediazione tra interessi borghesi e spinte popolari a cui sopra si è accennato. Attaccò dunque gli Hébertisti, accusandoli di essere agenti provocatori al servizio del nemico e ottenendone dalla Convenzione la condanna a morte (24 marzo ’94). Seguirono provvedimenti durissimi contro tutto il movimento popolare; l’attività delle sezioni fu posta sotto controllo; ma, contemporaneamente, si manifestò la necessità di contrastare quelle forze che, sotto la formula della moderazione e dell’indulgenza, tendevano a riportare la Rivoluzione nell’alveo borghese. In questa prospettiva si colloca la condanna a morte di Danton e del suo gruppo, una condanna che seguì di pochi giorni quella degli Hébertisti.

Con la scomparsa degli Indulgenti ha inizio la dittatura dei Giacobini nel Comitato di salute pubblica, ossia la dittatura personale di Robespierre. Il ‘Grande Terrore’ cominciò formalmente con la legge 22 pratile dell’anno II (10 giugno 1794), o ‘legge dei sospetti’, che cancellò ogni residua parvenza di legalità. Per essa il Tribunale rivoluzionario poté comminare, sulla sola base della convinzione morale dei giudici, anche senza alcuna prova testimoniale, centinaia di condanne. Nel corso del 1794 si contarono cinquantamila morti circa nell’intera Francia, ossia il 2% della popolazione. Si trattava di estirpare, come Robespierre non si stancava di ripetere, la corruzione e il vizio che si annidavano nel corpo della nazione e nelle file stesse della Convenzione e far trionfare la virtù, che Robespierre intendeva come amore di patria e delle sue istituzioni repubblicane, disinteresse personale, spirito di sacrificio. Egli diceva: “L’immoralità è la base del dispotismo, come la virtù è l’essenza della Repubblica”.

Dal Discorso di M. Robespierre alla Convenzione, 18 piovoso anno II:
“Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione è contemporaneamente la virtù e il terrore: la virtù, senza la quale il terrore è funesto, il terrore, senza il quale la virtù è impotente. Il terrore non è altro che la giustizia, pronta, severa, inflessibile: è dunque una emanazione della virtù; esso è una conseguenza del principio generale della democrazia applicato ai bisogni gravi ed urgenti della patria”…

Precedente Il Comitato di sicurezza generale Successivo La Convenzione rovescia Robespierre