La condanna a morte di Luigi XVI

Tra le prime drammatiche deliberazioni che i convenzionali dovettero prendere fu quella che riguardava la sorte di Luigi XVI, rinchiuso, come detto in precedenza, nella torre del Tempio. La scoperta di alcuni documenti che attestavano l’esistenza di contatti segreti tra il monarca e le potenze nemiche aggravò la posizione del deposto sovrano, sulla cui sorte la Convenzione si divise. Da una parte i girondini ritenevano necessario delegare ogni decisione direttamente al popolo, la cui sovranità era stata riconosciuta dalla Costituzione del 1791; dall’altra, i giacobini premevano invece perché a giudicare il re fosse chiamata l’Assemblea. Tale seconda tesi riuscì infine a imporsi e il 10 dicembre ebbe inizio il processo. Processato e riconosciuto reo di alto tradimento, Luigi XVI fu condannato a morte e giustiziato il 21 gennaio 1793. I girondini si erano espressi contro la sentenza di morte, proponendo la commutazione della pena in carcere a vita, ma i ‘montagnardi’ riuscirono a convincere la maggioranza del centro a pronunciarsi in favore della condanna.

Fu questa una sfida aperta all’Europa… Scrisse il convenzionale Lobas: “Eccoci ormai lanciati, ci siamo tagliati tutti i ponti alle spalle: bisogna andare avanti per amore o per forza; ora è soprattutto il caso di dire: vivere liberi o morire”. La morte di Luigi XVI fu un evento che ebbe risonanza mondiale.

Dopo Valmy le armate francesi avevano riportato alcune decisive vittorie, che condussero alla liberazione del Belgio, della Savoia, di Nizza e di gran parte della Renania tedesca. Nonostante i propositi enunciati (guerra ai re per la liberazione dei popoli), la guerra fu anche di conquista e di annessione. Ma quando le armate francesi invasero i Paesi Bassi e le artiglierie repubblicane si installarono sulla Manica e sul Mare del Nord, la reazione dell’Inghilterra, minacciata nei suoi interessi vitali, si fece immediatamente sentire. Nel febbraio-marzo 1793 essa divenne il centro di una potente coalizione alla quale aderirono, oltre all’Austria e alla Prussia, già in armi, la Russia, la Spagna e i vari Stati italiani.

Assaliti su tutti i fronti, gli eserciti francesi dovettero abbandonare i territori occupati: tornò l’incubo dell’invasione del territorio nazionale. I controrivoluzionari rialzarono la testa: la Vandea, poverissima e dominata dal clero reazionario, insorse sanguinosamente contro il governo centrale e i politici di Parigi. Emerse allora la logica della guerra rivoluzionaria. Stava diventando sempre più evidente che la guerra avrebbe deciso dei destini del paese e del mondo per le prossime generazioni. Dalle sorti della guerra dipendeva la vittoria della Rivoluzione su scala mondiale o il trionfo definitivo della controrivoluzione, il consolidamento dell’Antico Regime.

La classe dirigente francese capì che – di fronte all’attacco della coalizione europea – il vecchio esercito regio e nobiliare era uno strumento insufficiente, inadeguato. Per salvare la Repubblica e la Rivoluzione era necessario fare ricorso a metodi straordinari anche nella condotta della guerra. Su queste prospettive e su questi problemi si combatté nell’Assemblea l’ultimo scontro tra i Girondini e la Montagna.

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