La Breccia di Porta Pia

20 settembre 1870, Risorgimento: la Breccia di Porta Pia.

Alla morte di Cavour (giugno 1861), due fondamentali problemi restavano insoluti: la presenza austriaca in regioni italiane (per esempio Veneto e Trentino) e la cosiddetta “Questione Romana”, ossia la permanenza dello Stato della Chiesa, anche se ridimensionato, nel cuore della penisola e l’assoluta intransigenza manifestata da Pio IX verso qualsiasi forma di dialogo con il neonato Regno d’Italia. Quest’ultimo poteva contare, oltre che sulle forze pontificie, anche su un contingente francese di stanza a Roma.

Il completamento dell’unità nazionale divenne dunque un obiettivo da perseguire a tutti i costi. I democratici, a differenza dei moderati, si dimostrarono propensi nel rilanciare il programma insurrezionale affidando nuovamente la direzione delle operazioni a Giuseppe Garibaldi. Questo sbarcò con un corpo di volontari sulle cose della Calabria con l’intenzione di raggiungere Roma.

Dinanzi alle impetuose proteste di Napoleone III, che non voleva assumersi la responsabilità di aver favorito la scomparsa del secolare Stato della Chiesa, l’allora presidente del Consiglio Urbano Rattazzi decise l’invio dell’esercito regio per sbarrare la strada al corpo di spedizione garibaldino. Lo scontro ebbe luogo il 29 agosto 1862 sulle montagne dell’Aspromonte, con Garibaldi che venne rinchiuso nella fortezza di Varignano.

Al fine di ristabilire i rapporti con la Francia il governo italiano, ora presieduto da Marco Minghetti, firmò con Napoleone III la Convenzione di Settembre (15 settembre 1864), un accordo in base al quale veniva garantita l’integrità territoriale dello Stato della Chiesa in cambio del ritiro delle truppe francesi stanziate nella penisola. Quasi a simboleggiare la definitiva rinuncia a Roma, il Regno d’Italia trasferì la sua capitale da Torino a Firenze.

Il processo di unificazione nazionale registrò tuttavia un importante passo in avanti in seguito allo scoppio del conflitto austro-prussiano, con la Prussia che invitò l’Italia a partecipare al conflitto contro l’Austria. Se da un lato l’intervento italiano (Terza Guerra d’Indipendenza) costrinse l’Impero asburgico a dividere le proprie forze su due fronti, facilitando così la vittoria prussiana, dall’altro la fragilità militare dell’esercito e della marina regia si registrò in tutta evidenza.

Duramente sconfitti sulla terra a Custoza (24 giugno 1866) e sul mare presso l’isola di Lissa (20 luglio 1866), gli Italiani ottennero solo qualche successo di modesta portata grazie alle operazioni militari condotte da Garibaldi e dai suoi Cacciatori delle Alpi. Comunque il Regno d’Italia guadagnò, grazie alla netta vittoria riportata dalle armate prussiane, l’annessione del Veneto.

Il deludente esito del conflitto rafforzò la corrente mazziniana all’interno del movimento democratico, molto critica verso i governanti italiani, l’istituzione monarchica e l’incapacità degli alti comandi militari. Ricevette così nuovo impulso l’idea di una azione di forza contro lo Stato pontificio per portare a termine l’unificazione del Paese. Il piano prevedeva un’insurrezione popolare a Roma, la quale avrebbe dovuto fornire l’occasione irripetibile per un intervento dei volontari guidati da Garibaldi.

Alla metà di ottobre egli varcò i confini dello Stato della Chiesa alla testa di un corpo di spedizione, ma la prevista insurrezione non si verificò e un gruppo di garibaldini fu decimato dall’esercito pontificio in uno scontro brutale a Villa Glori, alle porte di Roma. Ma Garibaldi non desistette. Nel frattempo Napoleone III, denunciando la violazione della Convenzione di Settembre, decise di inviare un corpo di spedizione che, sbarcato a Civitavecchia, affrontò vittoriosamente i garibaldini a Mentana (3 novembre 1867).

Solamente dopo il crollo dell’Impero francese nel 1870 i patrioti italiani ebbero campo libero. Questa volta furono le truppe regie a sferrare l’attacco. Invaso lo Stato della Chiesa e spezzata la resistenza delle truppe pontificie, un corpo di bersaglieri entrò a Roma il 20 settembre 1870 (Breccia di Porta Pia). Si compiva così il voto che il Parlamento nazionale aveva espresso nel marzo 1861, in una delle sue prime sessioni. Un plebiscito sanzionò formalmente l’annessione di Roma all’Italia. Nel 1871 Roma divenne capitale d’Italia.

«La nostra stella, o Signori, ve lo dichiaro apertamente, è di fare che la città eterna, sulla quale 25 secoli hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno italico».
(Camillo Benso, conte di Cavour, discorso al Parlamento del Regno di Sardegna 11 ottobre 1860)

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