Interpretazioni contrastanti della Costituzione americana

Gli eventi che portarono le colonie americane ad ottenere quella tanto sospirata indipendenza dalla madrepatria Inglese sono oggetto di particolare interesse storico, e questo è risaputo. Non è da meno il frutto giuridico che ne scaturì, ovvero la Costituzione americana, ancora oggi soggetta a diverse interpretazioni tra loro contrastanti.

Nelle pagine scritte da W.P. Adams, all’interno del suo scritto “Gli Stati Uniti d’America”, si affronta la complessa questione della natura dell’Unione americana e della sua forma di governo quali si presentarono nella riflessione dei contemporanei dopo il conflitto sostenuto dagli Stati Uniti contro l’Inghilterra nel 1812. Assunse allora grande rilievo il problema del federalismo, già affrontato nel corso della guerra d’indipendenza americana. La domanda che sovente ci si poneva era: gli Stati Uniti sono una confederazione di Stati o una singola nazione unificata?

La Costituzione approvata era comunque precisa al riguardo: “Quando l’autorità federale e quella degli Stati entravano in conflitto fra loro, aveva la prevalenza la legge federale”. Il fatto che i singoli territori avessero deciso di unirsi, negli anni 1787-1790, li legava per sempre a questo patto: essi non potevano difatti recedere dal sistema liberamente adottato. L’assenso dei cittadini, una volta espresso, non poteva essere revocato in alcun modo: era un patto da mantenere, se necessario, con la forza delle armi.
Non tutti, comunque, si trovavano d’accordo su questo punto. Per taluni si trattava di un accordo contingente fondato sulla buona volontà dei singoli Stati, e perciò soggetto a continua verifica. Gli ambiti di competenza del governo federale e dei singoli Stati dell’Unione furono fissati rigorosamente: al governo federale spettava il controllo dell’esercito e della marina, del commercio con l’estero, del servizio postale, della moneta, dei pesi e delle misure; ai singoli Stati, ciascuno nel proprio contesto, tutte le altre competenze. Ed è proprio questa la ragione per cui la condanna a morte resta ancora oggi prerogativa di ciascuno Stato: in tale sfera ogni Stato legifera in completa autonomia. Si potrebbero ricordare in proposito i fieri contrasti scoppiati tra il governo federale e alcuni governi del Sud (Alabama, Mississipi etc.), al momento della presidenza Kennedy, per quanto riguarda il rifiuto di questi stessi governi di ammettere i neri nelle scuole pubbliche, nel quadro del riconoscimento dei diritti civili approvati dalla Corte Suprema.

La guerra del 1812 (Jefferson, in risposta all’impressment – il diritto arrogatosi dagli Inglesi di visitare le navi americane per catturare presunti disertori, in relazione al duello anglo-francese dei primi anni dell’Ottocento – fa approvare l’Embargo Act nel 1807, che esclude l’Inghilterra dal commercio americano. Scoppia un conflitto, che si concluderà nel 1814 con la Pace di Gand) aveva messo in luce la debolezza intrinseca del sistema americano di governo, anche se solo per un breve momento. Una forte minoranza aveva contestato l’autorità del Presidente e del Congresso, sollevando così i problemi irrisolti sulla natura dell’Unione. Eppure ciò che gli Americani decisero di ricordare della guerra non fu il disordine politico in cui essa li aveva gettati o la loro relativa mancanza di capacità militari imponenti, bensì il fatto di aver affrontato la principale potenza militare del mondo e di essere sopravvissuti. Gli americani sono sempre stati maestri nel guardare il lato positivo ad ogni costo. Quel risultato sembrava una risposta sufficiente a quei critici stranieri che non avevano fatto altro che predire catastrofi sin dall’ottenimento dell’indipendenza. L’adozione di una forma di governo al tempo stesso repubblicana e federalista, e l’essere riusciti a conservare lo status dell’America come potenza indipendente, non era stato affatto un compito facile, eppure evidentemente tale risultato era stato conseguito senza mezzi termini. I Britannici si erano ritirati sulle posizioni anteriori alla guerra, il partito federalista era in declino, la resistenza degli Indiani a est del Mississipi era stata infranta e nuovi grandi territori erano stati aperti alla colonizzazione. Il futuro sembrava essere più che promettente.

Così gli importanti problemi intravisti per un attimo durante la guerra furono messi da parte. Fra questi c’era la questione se gli Stati Uniti fossero una confederazione di Stati o una singola nazione unificata. Il preambolo alla Costituzione (Noi, popolo degli Stati Uniti, al fine di formare un’Unione più perfetta…) sembrava una conferma della seconda opinione. La fedeltà alla Costituzione aveva presumibilmente la precedenza su tutto, compresa la fedeltà ai singoli Stati. Quando l’autorità federale e quella degli Stati entravano in conflitto fra loro, aveva la prevalenza la legge federale, purché naturalmente il problema in questione rientrasse nella sua sfera di competenza. Se così fosse o no spettava decidere alla Corte Suprema.

Il vero problema era se, in ultima istanza, gli Americani fossero obbligati ad accettare in generale l’autorità della Costituzione. Era questa una domanda a cui la Costituzione stessa non dava una risposta soddisfacente. Restava il fatto che il popolo americano nel suo complesso non aveva mai dato – o non era mai stato chiamato a dare – il suo consenso. Infatti, la Costituzione aveva avuto il solo consenso dei vari singoli Stati, o attraverso i loro organismi legislativi o, più in generale, attraverso convenzioni di ratifica appositamente costituite. L’adozione della versione finale della Costituzione fu il risultato non di un tentativo di far apparire il documento un’espressione della volontà generale del popolo americano, bensì del fatto che all’ultimo momento i delegati si resero conto di non sapere ancora quali dei tredici Stati avrebbero effettivamente deciso di ratificare la Costituzione. Il fatto che, alla fine, tutti gli Stati decidessero di accettare la Costituzione nulla toglie al carattere volontario della decisione. Se qualche Stato avesse deciso di rimanere indipendente, tale comportamento sarebbe stato del tutto legale (come fu nel caso del Rhode Island, che aderì alla Costituzione solo in un secondo tempo).

Ma l’ammissione del fatto che gli Stati Uniti ebbero origine in conseguenza di un patto volontario tra Stati non comporta necessariamente che essi avessero il diritto di recedere a loro piacimento dal sistema. Gli Stati sovrani, come i singoli individui, possono in definitiva decidere di legarsi tra loro sempre. Molti sostennero in seguito che proprio una cosa del genere era di fatto accaduta nel 1787-90. Il sistema di governo americano avrebbe potuto essere interpretato dal punto di vista del diritto costituzionale in due modi del tutto diversi: o come un patto indissolubile che doveva esser mantenuto, se necessario, con la forza delle armi, o come un accordo contingente fondato sulla buona volontà dai singoli Stati.
Ciò non significa che, negli anni successivi alla Pace di Gand (1815 – ristabilì lo status quo fra le due potenza), queste fossero viste come le uniche opzioni disponibili. La maggior parte degli americani avrebbero risposto alla domanda se gli Stati Uniti fossero una confederazione di singoli Stati o una singola nazione unificata dicendo che erano un misto. In taluni settori era suprema l’autorità del singolo Stato, in altri quella federale. Il popolo di ogni singolo Stato, di fatto, entrando nell’Unione, aveva rinunciato a una parte del suo potere di legiferare per sé. La virtù peculiare del sistema americano consisteva nel consentire una vasta distribuzione di poteri, diversamente che nella maggior parte dei sistemi di governo europei, dove, come gli Americani erano orgogliosi di sottolineare, il potere era concentrato in poche mani e i sovrani non erano responsabili se non di fronte a se stessi.

Precedente Una rivoluzione senza ideologia Successivo La democrazia in America: Alexis de Tocqueville