Mussolini: il culto del Duce in Italia

Il culto del Duce

Il fascismo rivolse particolare attenzione ai problemi della società di massa, rivelandosi in tal senso capace di dar vita a miti, culti e immagini collettive, tutti elementi che permisero di creare un’importante coesione interna. Emilio Gentile, studioso di storia contemporanea, in particolare del fascismo, in un suo studio ricostituisce la forza di penetrazione del culto mussoliniano tra la gente comune. Nella media e piccola borghesia non politicizzata, nei ceti popolari più umili, specialmente quelli rurali, laddove la violenza squadrista non era arrivata con forza e non erano radicate tradizioni politiche, il culto del Duce si diffuse con estrema rapidità, in quanto mise le proprie radici in una cultura antropologica fortemente dominata da credenze religiose, addirittura in alcuni casi superstiziose e magiche, che proiettavano sul mito di Mussolini forme di devozione pura e di culto tipiche della pietà religiosa cristiana.

Il Duce veniva visto come l’uomo della provvidenza, il padre amorevole della patria, vicino ai suoi figli italiani; come detto, divenne sempre più un vero e proprio oggetto di culto, di una fiducia e di un’attesa quasi miracolistica che sovente fece prevalere, nella gente comune, il mito di Mussolini sulla fede nel fascismo. Quindi, tanto più si diffondeva fra le masse l’insofferenza verso gli abusi del regime e del Partito fascista, tanto più dall’altra parte veniva esaltato il mito del Duce, posto al riparo dalle critiche perché elevato in una sfera di fiducia infrangibile, quale ultima speranza per un atto definitivo sanatorio dei mali, anche di quelli inflitti dal fascismo stesso attraverso i suoi gerarchi, che chiaramente non godevano della stessa cieca ammirazione. “Quando bombardamenti, fame, sconfitte devastarono l’Italia, il nume era destinato ad essere rovesciato e dissacrato con la stessa passione con la quale era stato adorato”.

Il culto per il Duce riscosse crescenti consensi fra la gente comune; fu un fenomeno pressoché costante durante il regime, almeno fino alla Seconda guerra mondiale, anche se non ebbe un’estensione e una presenza uniforme in tutti i ceti sociali. Quelli in cui questo mito ebbe minore influenza furono i settori passati attraverso un più marcato processo di scolarizzazione o quelli, specialmente ceti operai e contadini, che avevano subito le violenze squadriste ed erano più saldamente legati alla tradizione socialista, repubblicana o comunista. In questi ceti, il mito di Mussolini poté far breccia solamente col passare del tempo, agendo soprattutto sulle generazioni giovani.
Ma, come detto, nella media e piccola borghesia non politicizzata, nei ceti popolari più umili, specialmente rurali, privi di qualsiasi tradizione laica o politica, che non avevano subito la violenza squadrista, il culto di Mussolini si diffuse con forza e rapidità. Continue erano le richieste a Mussolini di un suo ritratto da tenere come talismano apportatore di grazia: ad una vedova con undici figli “parve che nella sua casa sia entrata la Grazia di Dio” quando il prefetto, accompagnato dal segretario federale e dal podestà, si recò a consegnarle il ritratto del Duce.

Il mito di Mussolini prese corpo attraverso degli elementi quali la figura di un grande statista che meditava sulle sorti del mondo e vegliava con cura sul destino dell’Italia, che voleva far grande e potente, ma nello stesso tempo curava come un padre amorevole la sorte di tutti i suoi figli compatrioti. Un uomo dotato di straordinari poteri taumaturgici e benefici, fisicamente vicino alle masse e continuamente in contatto con esse, prossimo alla loro anima e interprete delle loro aspirazioni.

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