WWII, Pearl Harbor: il “Giorno dell’infamia”

Seconda guerra mondiale: l’attacco giapponese a Pearl Harbor (porto militare sito nell’isola hawaiiana di Oahu e base della marina degli Stati Uniti d’America nell’Oceano Pacifico).

La battaglia di Pearl Harbor non fu decisiva per chi la vinse, ma, come noto, gettò le premesse per quella che sarà la sconfitta definitiva delle forze attaccanti. Essa rappresentò simbolicamente l’apice dell’avanzata del Giappone, il quale era stato capace di assumere, per qualche tempo, il controllo dell’area del Pacifico e dell’Asia Orientale.

Quel che accadde il 7 Dicembre del 1941 a Pearl Harbor risultò assolutamente decisivo rispetto alla conclusione della Seconda guerra mondiale, in quanto portò all’ingresso degli Stati Uniti d’America all’interno dello scacchiere bellico, determinandone militarmente l’esito.

L’attacco di Pearl Harbor fu legato inesorabilmente alla prima esecuzione del Patto Tripartito firmato nel 1940 fra Giappone, Germania e Italia. Sulla base di tale accordo il mondo sarebbe stato diviso in sfere d’influenza, e al Giappone spettava l’area asiatica. Dinanzi ai successi del momento conseguiti dalle forze dell’Asse in Europa, il Giappone, per non sentirsi da meno, come anche per garantirsi quanto gli “spettava di diritto”, volle dare una dimostrazione di forza importante e, al contempo, assicurarsi l’eliminazione dei rivali nel Pacifico. Queste furono le basi concettuali che portarono a quello scriteriato attacco alla base della flotta statunitense di stanza a Pearl Harbor.

Con la Carta Atlantica – atto diplomatico sottoscritto dal presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt e il primo Ministro britannico Winston Churchill il 14 agosto del 1941, che prevedeva l’enunciazione di alcuni principi per il futuro ordine mondiale) – Washington e Londra avevano delineato come avrebbe dovuto essere il mondo dopo la fine del conflitto. Ma in quella fase, gli Stati Uniti ancora cautamente evitavano di farsi tirare dentro al conflitto. Quindi, pochi mesi prima di Pearl Harbor, gli USA intendevano solamente tutelare i propri interessi economici, commerciali e finanziari sostenendo gli Inglesi, ma senza un coinvolgimento diretto.

Questa propensione isolazionista era legata indissolubilmente alla Dottrina Monroe (“L’America agli americani, l’Europa agli europei”), che già aveva portato il congresso repubblicano a non ratificare gli accordi di pace voluti da Wilson dopo la fine della Grande Guerra. Dopo Pearl Harbor, tuttavia, gli Americani realizzarono la necessità dell’intervento, anche da un punto di vista economico: il predominio dell’Asse su vasti territori avrebbe danneggiato fortemente i loro interessi economici e commerciali.

Pearl Harbor fu l’inizio della fine per il Giappone; fu uno smacco politico e militare, ma anche un monito sul fatto che non si potevano difendere interessi economici con sole dichiarazioni di intenti e senza un intervento militare diretto.

Quel 7 dicembre sarebbe passato alla storia come Giorno dell’Infamia.

A definirlo così fu Franklin Delano Roosevelt, il Presidente Usa in carica, nel suo primo discorso di guerra al Congresso in seduta plenaria:

“Ieri, 7 Dicembre 1941, una data segnata dall’infamia, gli Stati Uniti d’America sono stati improvvisamente ed intenzionalmente attaccati dalle forze aeree e navali dell’Impero del Giappone. Gli Stati Uniti erano in pace con questo Paese (…) Non importa quanto tempo occorrerà per riprenderci da questa invasione premeditata, il popolo americano con tutta la sua forza riuscirà ad assicurarsi una vittoria schiacciante”.

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