WWII: l’insurrezione di Varsavia

Gennaio 1945, Seconda guerra mondiale: l’Armata Rossa marcia sulla distrutta Varsavia.

Il 17 gennaio del 1945 , esattamente dieci giorni prima dalla liberazione di Auschwitz, i soldati dell’Armata Rossa entrarono tra le rovine di una Varsavia devastata dalle forze armate tedesche. L’esercito di Hitler aveva infatti, pochi mesi prima, soppresso con la forza l’insurrezione dell’Armia Krajowa Polacca, nata dall’ottimistica convinzione che i Sovietici, accampati poco distanti dalla città, sarebbero intervenuti in loro soccorso. Questa fu la Rivolta di Varsavia, l’iniziativa insurrezionale dell’Esercito Nazionale Polacco che, fra il 1º agosto e il 2 ottobre 1944, fu scagliata contro le truppe tedesche di occupazione allo scopo di liberare la città prima dell’imminente arrivo dell’esercito sovietico, giunto alle porte della capitale polacca dopo le vittorie conquistate sul Fronte Orientale.

I rivoltosi disponevano tuttavia solo di armi leggere e di un addestramento approssimativo; inoltre, lo sperato soccorso sovietico non arrivò. La battaglia che ne scaturì trasformò Varsavia in un inferno che colpì duramente la popolazione civile, oggetto di una brutale repressione da parte delle truppe naziste. Una volta sgomberata la popolazione, Varsavia fu distrutta casa per casa. Quando ci fu l’avanzata dell’Armata Rossa, le prime linee tedesche furono rapidamente travolte e le riserve corazzate distrutte dai corpi meccanizzati del maresciallo Konev. In brevissimo tempo tutta la Polonia fu invasa dai Sovietici, i quali sovente si abbandonarono al saccheggio.

L’insurrezione

Il primo agosto del 1944, la bandiera bianca e rossa della Polonia venne innalzata sulla torre delle assicurazioni Prudential, l’edificio più alto di Varsavia. Ovunque gruppi di partigiani polacchi organizzarono blocchi stradali e occuparono edifici strategici. I capi della resistenza inviarono a Londra, dove risiedeva il governo della Repubblica Polacca in esilio, un messaggio radio in chiaro: “La battaglia per la capitale è cominciata”. I polacchi cominciarono a combattere contro gli occupanti con grande impeto. Circa 35000 persone si erano arruolate con i ribelli, anche se c’erano armi per poco più di cinquemila di loro.

L’invasione della Polonia (settembre 1939), notoriamente, aveva dato il via alla Seconda guerra mondiale. Quando scoppiò la rivolta, il Paese si trovava oramai da cinque anni sotto la dominazione tedesca. I segni della brutale occupazione si scorgevano ovunque: il centro storico della città era ormai quasi completamente in rovina. Nel 1943 era scoppiata un’altra rivolta nel ghetto. Decine di migliaia di ebrei furono uccisi, e l’intero quartiere distrutto.

Nell’estate del 1944, però, qualcosa sembrava esser cambiato. L’esercito tedesco, che da tre anni combatteva l’Armata Rossa, era stato sconfitto. L’unica cosa che impediva ai Sovietici di marciare direttamente su Berlino era la ciclica necessità di rifornire le proprie truppe e raccogliere armi e munizioni prima degli attacchi. Nell’ultimo di questi, i soldati sovietici erano ormai arrivati in vista della città. Il morale dei tedeschi era bassissimo, e si diceva che fossero ormai pronti ad abbandonare Varsavia senza combattere.

Da anni ex militari dell’esercito polacco, leader politici e nazionalisti stavano organizzando un movimento clandestino di rivolta. Nell’estate del 1944 sembrò che il momento opportuno per dar vita all’insurrezione fosse infine arrivato. I leader polacchi erano convinti che i Sovietici avrebbero appoggiato la rivolta. Per molti polacchi, comunque, dare il via autonomamente alla rivolta contro l’occupazione nazista era un obiettivo politico, in quanto Stalin aveva partecipato nel 1939 assieme ad Hitler alla spartizione in due del Paese, e molti polacchi temevano che, se non fossero riusciti a conquistare l’indipendenza grazie a una loro iniziativa, i Sovietici avrebbero imposto loro un governo comunista. Il loro timore si rivelò fondato. L’esercito russo non fece nemmeno un tentativo di raggiungere Varsavia, e si limitò ad osservare la repressione della rivolta da parte dell’esercito tedesco.

La rivolta colse comunque gli occupanti di sorpresa. Nonostante le imponenti perdite subite, i Polacchi riuscirono a conquistare una serie di posizioni strategiche e a mettere in seria difficoltà l’esercito nazista. Dopo i primi giorni di combattimento, per i Tedeschi divenne ragionevole abbandonare la città. Varsavia sarebbe certamente caduta non appena i Sovietici avessero lanciato un nuovo attacco. Ma per Hitler l’insurrezione rappresentava una sfida personale a quello che riteneva un suo legittimo dominio, e così ordinò di concentrare tutte le forze disponibili per reprimere la rivolta.

La relativa tranquillità dell’Armata Rossa permise ai Tedeschi di radunare un insieme piuttosto eterogeneo di truppe: i cosacchi ucraini, i battaglioni di SS e le truppe d’élite dei paracadutisti. Enormi mortai che sparavano proiettili pesanti due tonnellate furono usati per bombardare il centro cittadino, controllato dai ribelli. Nei combattimenti vennero usati anche dei droni primitivi, ovvero veicoli radiocomandati poco più grandi di una grossa valigia che venivano fatti esplodere a distanza. I Tedeschi commisero ogni sorta di crimine di guerra. I Polacchi feriti furono uccisi là dove venivano trovati, e i prigionieri furono lanciati dalle finestre dei palazzi più alti. L’artiglieria e l’aviazione bombardarono sistematicamente il centro della città. I disertori russi che combattevano assieme ai nazisti furono particolarmente brutali: migliaia di donne furono stuprate prima di essere uccise.

I combattimenti andarono avanti fino al 2 ottobre 1944. Dopo sessanta giorni, con la città ormai quasi completamente in rovina, i Polacchi dovettero arrendersi. Tuttavia, l’atto insurrezionale non fu del tutto inutile. I nazisti temevano infatti che l’Armata Rossa avrebbe attaccato di lì a breve e così, dopo mesi di combattimenti senza pietà, concessero ai polacchi condizioni insolitamente favorevoli. Circa 20000 civili riuscirono a lasciare la città e 15000 uomini della resistenza furono fatti prigionieri, invece che essere uccisi sul posto. Altre migliaia di combattenti decisero di rimanere nascosti tra la popolazione civile, in attesa di una nuova occasione per ribellarsi.

L’Armata Rossa non attaccò fino al gennaio del 1945, tre mesi dopo la resa di Varsavia. Alcuni Polacchi sperarono che il giorno della liberazione della città significasse la fine delle loro sofferenze, ma non fu così. Stalin temeva i nazionalisti polacchi almeno quanto Hitler (già all’epoca della spartizione i Sovietici avevano ucciso migliaia di polacchi considerati controrivoluzionari). L’NKVD, la polizia politica che sarebbe diventata poi KGB, si diede subito da fare per identificare gli ex membri della resistenza. Decina di migliaia di Polacchi furono uccisi, deportati o imprigionati dai Sovietici. La cosiddetta liberazione di Varsavia, per la gran parte dei Polacchi, significò soltanto passare delle mani di una dittatura a quelle di un’altra.

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