WWII: la Battaglia di Iwo Jima

19 Febbraio 1945, Seconda guerra mondiale: inizia la battaglia di Iwo Jima.

Iwo Jima è un’isola vulcanica del Giappone, grande più o meno un terzo di Manhattan, situata 1046 km a Sud di Tokyo, nell’Oceano Pacifico, ma posta comunque nella sua prefettura. Ampia solo una ventina di km² (21 circa), è dominata dal Monte Suribachi, alto 166 m.

La battaglia di Iwo Jima, parte dei conflitti che ebbero luogo nel teatro del Pacifico della Seconda guerra mondiale, vide contrapposte le forze statunitensi, guidate dall’ammiraglio Raymond Spruance (Baltimora, 3 luglio 1886 – Pebble Beach, 13 dicembre 1969), alle truppe dell’esercito imperiale giapponese al comando del generale Tadamichi Kuribayashi (Distretto di Hanishina, 7 luglio 1891 – Iwo Jima, 26 marzo 1945), coadiuvate da reparti della marina guidati dal contrammiraglio Toshinosuke Ichimaru (Karatsu, 20 settembre 1891 – Iwo Jima, 26 marzo 1945).

La guerra del Pacifico, conosciuta anche come grande guerra dell’Asia orientale, fu un conflitto svoltosi nella metà occidentale dell’Oceano Pacifico, nel sud-est asiatico e nella Cina occupata dall’esercito imperiale giapponese. Fu combattuta tra l’Impero giapponese, parte delle Potenze dell’Asse, e lo schieramento alleato comprendente Stati Uniti d’America, Regno Unito, Cina, Australia, Paesi Bassi e Nuova Zelanda; l’Unione Sovietica rimase neutrale fino all’agosto 1945, quando intervenne in Manciuria per recuperare i territori appartenuti all’Impero russo.

Nella battaglia, che durò dal 19 febbraio al 26 marzo, e che fu forse la più sanguinosa combattuta nel Pacifico, morirono quasi 7mila Marines e 363 marinai statunitensi, mentre la guarnigione giapponese, composta da all’incirca 14mila soldati e 7mila marinai, fu praticamente sterminata nell’unica battaglia che vide gli americani perdere tanti uomini quanti i propri avversari.

Ma perché gli statunitensi decisero di voler conquistare a tutti i costi quell’isoletta del gruppo delle Vulcano?

Iwo Jima si trovava sulla rotta tra le basi aeree americane nelle Marianne e il territorio metropolitano giapponese. Un aeroporto sull’isola avrebbe consentito di risparmiare tonnellate di carburante, di aumentare il carico offensivo dei bombardieri e di salvare vite di aviatori americani, i quali avrebbero avuto un punto di appoggio molto più vicino ai loro obiettivi sul quale atterrare se danneggiati dal nemico. Fu questo il motivo che portò il Comitato dei Capi di Stato maggiore anglo-americani a stabilire che Iwo Jima fosse un obiettivo da conquistare a tutti i costi.

Prima di tentare lo sbarco, gli americani avevano bombardato l’isola per oltre due mesi, ma i danni effettivi inflitti alle difese nipponiche erano stati pressoché inconsistenti. Quando il 19 febbraio 1945 i mezzi da sbarco con a bordo gli uomini della 4^ e 5^ divisione dei Marines si presentarono davanti alle spiagge della parte Sud-Orientale dell’isola, la situazione si rivelò subito esser decisamente complicata. La guarnigione giapponese a presidio del territorio era stata notevolmente rafforzata, l’isola potentemente fortificata, con l’ordine categorico per i difensori di aspettare i nemici sulle proprie posizioni e poi combattere vendendo cara la pelle, in modo da costringere gli americani a una sanguinosa lotta di logoramento, uomo per uomo e vita per vita.

A tale scopo, il terreno vulcanico dell’isola, già bucherellato da decine di crepacci e caverne, fu scavato in lungo e in largo da quasi 30 chilometri di gallerie intercomunicanti, profonde oltre 20 metri, che univano tra loro centinaia di postazioni e bunker in grado di darsi appoggio reciproco. Da queste tane i fanti potevano uscire per respingere gli assalitori e prenderli alle spalle, mentre i pezzi di artiglieria, i mortai e le mitragliatrici erano sistemati in modo tale da essere al sicuro dal tiro navale e dai bombardamenti aerei (con protezioni di calcestruzzo spesse fino a tre metri) e praticamente invisibili.

I Marines, appena sbarcati, furono immediatamente attaccati con mortai e artiglieria, senza riuscire ad avanzare oltre le spiagge. Dei 30mila uomini sbarcati quel giorno, 2500 furono feriti o uccisi. Gli americani, al posto dei consueti e prevedibili attacchi banzai utilizzati sovente dai giapponesi, dovettero fronteggiare una difesa astuta e dotata di casematte e bunker lungo le pendici del monte. Grazie all’aiuto dei kamikaze, la portaerei “USS Saratoga” fu ripetutamente danneggiata e altre quattro navi furono attaccate (una delle quali, la “USS Bismarck Sea”, esplose).

Solo nei giorni successivi allo sbarco i Marines riuscirono lentamente a guadagnare metri, supportati da un ininterrotto e consistente fuoco aereo e navale, rafforzato poi dall’arrivo da Tokyo delle portaerei guidate dall’ammiraglio Marc Mitscher. Il crollo di parte delle gallerie interne al Monte Suribachi permise una ottimale avanzata agli americani. Gli americani conquistarono l’isola di Iwo Jima solamente a distanza di un mese dallo sbarco, dopo combattimenti sanguinosissimi. Per più di due mesi, inoltre, gli statunitensi combatterono per eliminare le residue sacche di resistenza (oltre 4mila uomini), mentre i prigionieri aumentarono fino al migliaio.

Considerando la schiacciante superiorità numerica americana e l’assoluto dominio aeronavale, i giapponesi condussero un’eccellente battaglia difensiva. Sul piano strategico, la conquista di Iwo Jima consentì all’Aeronautica statunitense di avere una preziosa base di appoggio dove prima della fine delle ostilità ben 2251 bombardieri pesanti “B-29 Superfortress” compirono atterraggi di emergenza, evitando la perdita dei velivoli e dei relativi quasi 25mila uomini di equipaggio, che altrimenti avrebbero dovuto compiere ammaraggi fortunosi in mezzo al Pacifico. Gli aeroporti di Iwo Jima, inoltre, diventarono sede di reparti di caccia diurni e notturni che potevano accompagnare i bombardieri fino al Giappone.

Gli americani pagarono dunque un prezzo molto alto in termini di vite umane. Trassero da questa battaglia una lezione molto importante: i giapponesi non si sarebbero mai arresi, avrebbero lottato fino a che le forze glielo avrebbero concesso. Per sconfiggerli in casa loro sarebbe stato necessario andare a prenderli uno a uno, un bunker dopo l’altro. A meno di poter contare su un’arma segreta e innovativa in preparazione: la bomba atomica.

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