Voltaire e l’assolutismo illuminato

Voltaire, pseudonimo di Francois-Marie Arouet, nacque a Parigi il 21 novembre 1694 da famiglia borghese. Nell’arco della sua vita ha ricoperto diversi ruoli, tra cui quello di filosofo, drammaturgo, storico, scrittore, poeta, romanziere, enciclopedista e saggista. Il suo nome è indissolubilmente legato al movimento culturale dell’Illuminismo, di cui fu uno degli animatori e degli esponenti principali, e fu protagonista anche entro la vita dell’Encyclopédie. La vasta produzione letteraria di Voltaire si caratterizza per l’ironia, la chiarezza dello stile da lui adottato, la vivacità dei toni e la vena polemica. Voltaire vedeva nel dispotismo illuminato di un principe ben consigliato dai filosofi la migliore garanzia contro i rischi dell’entrata in scena di masse incolte e bigotte.

Il filosofo nacque nella grande Francia del re Sole, morì (il 30 maggio 1778) in una nazione che si avviava a grandi passi verso quella crisi rivoluzionaria che si rivelerà un passaggio fondamentale per il futuro delle popolazioni europee. La sua vita accompagnò tutta la parabola dell’illuminismo francese, del quale fu sino alla morte il “patriarca”, il capo riconosciuto e celebrato, sia in patria sia all’estero. Decisivo, per la formazione del suo pensiero, fu il soggiorno-esilio in Inghilterra del 1726-28: qui egli fece esperienza di un sistema politico e sociale assai più aperto e mobile di quello francese, dove gli intellettuali godevano di una invidiabile indipendenza, anche economica, e di una libertà di espressione assolutamente sconosciute a Parigi; sul piano filosofico, entrò in contatto con il deismo, con la grande tradizione filosofica dell’empirismo di Bacone e di Locke e con la nuova scienza di Newton, dottrine alle quali si ispirerà per costruire quella sua personale filosofia e che divulgherà in Francia, dando forte impronta a tutto il pensiero illuminista.
Come detto, l’esperienza inglese si rivelerà decisiva per la formazione del pensiero politico di Voltaire, ed i risultati si trovano condensati nelle “Lettere Filosofiche”, in cui l’esaltazione del sistema inglese – libertà di commercio, liberalismo politico, tolleranza religiosa – serve per condurre un violento attacco al sistema francese, intessuto di evidente disuguaglianze giuridiche, di privilegi, di intolleranza religiosa. E altrettanto penalizzante per la Francia è il confronto sul terreno filosofico-scientifico: qui la metafisica di Cartesio e Malebranche, lì la filosofia sperimentale di Bacone, Locke, Newton. Proprio quest’ultimo, secondo Voltaire, ha distrutto la fisica cartesiana, fondando la scienza su una ragione legata all’esperienza e insieme consapevole dei propri limiti.

Due sono le opere che costituiscono la base del pensiero filosofico di Voltaire: gli “Elementi della filosofia di Newton” e la “Metafisica di Newton”. La prima costituisce il massimo sforzo di divulgazione scientifica compiuto da Voltaire, nell’intento di rendere Newton comprensibile alla massa, con chiaro intento di battaglia polemica e di illuminazione culturale. Si può comprendere l’importanza di questo libro solo premettendo che in quel momento Newton era pressoché sconosciuto al di fuori dell’Inghilterra e che l’ambiente filosofico e scientifico francese era dominato da un cartesianesimo sovente irrigidito in scolastica; consensi entusiastici e attacchi furibondi seguirono alla pubblicazione.
La “Metafisica di Newton” e il “Trattato di metafisica” offrono invece gli elementi della personale metafisica voltairiana. Si tratta di una metafisica non dogmatica, non sistematica, ma fortemente polemica verso i costruttori di sistemi filosofici. Da un lato, viene affermata l’origine empirica di tutte le nostre conoscenze e la polemica contro la sostanzialità dell’anima; dall’altro, si ribadisce la convinzione, mutuata da Newton e Clarke, circa l’esistenza di un Sommo artefice del meccanismo del mondo e, all’interno del mondo stesso, di un preciso ordine teleologico. Voltaire fece esplicita professione di deismo, definendolo come <>. A questo deismo rimase sempre fedele.

A questa posizione filosofica si ricollega il tema che più impegnò Voltaire nella sua fase di “militante dei Lumi”, vale a dire la lotta contro l’intolleranza, il fanatismo, la superstizione e contro le aberrazioni di un sistema giuridico che proprio su questa intolleranza si fondava. La superstizione, che secondo Voltaire subito si innesca non appena si va oltre l’adorazione di un Essere supremo e la sottomissione del cuore ai suoi ordini eterni, va combattuta strenuamente attraverso lo spirito filosofico, che non è altro che la ragione, il solo e reale antidoto contro questa pericolosa epidemia. La lotta per i Lumi è dunque lotta religiosa e politica insieme. E’ lotta contro la religione degenerata in superstizione, non contro la religione in quanto tale, sia ben chiaro. Al contrario, Voltaire si dice convinto che la religione sia anche socialmente necessaria come elemento di coesione e di ordine: <>, suona il forse più celebre epigramma voltairiano. Una religione popolare, razionale e deista, è più augurabile dell’ateismo dal punto di vista della collettività umana, purché si eviti il dogmatismo.

Politica:
In campo politico, il pensiero di Voltaire non acquisì mai un’effettiva sistematicità teorica e conobbe anzi notevoli oscillazioni. Il suo orientamento di fondo a favore dell’assolutismo (illuminato) va compreso in relazione alla situazione politica francese di metà Settecento, dove era in atto una decisa riscossa dell’aristocrazia contro l’assolutismo, in difesa dei tradizionali privilegi di ceto. Quando Voltaire enuncia una delle massime capitali del suo pensiero politico (<>) o quando afferma che il governo non può essere buono se non ha un potere unico, manifesta evidentemente un orientamento politico che vede nella legge e nell’autorità dello stato la garanzia contro il privilegio feudale che si esprime nelle libertà dei due ordini dominanti, l’aristocrazia e il clero. Ed è in tal senso che Voltaire si dimostra favorevole alla monarchia assoluta (non dispotica). Il suo progetto politico non è dunque repubblicano, né tanto meno democratico (Voltaire considera difatti la disuguaglianza economico-sociale come un fatto insopprimibile), ma neppure costituzionale all’inglese: infatti l’Inghilterra ha già decapitato la sua vecchia aristocrazia, la Francia no; e quel parlamento che in Inghilterra è perno fondamentale di equilibrio politico, in Francia è sovente fattore di arretratezza e conservazione. Si delinea allora un grande compito per la filosofia: quello di illuminare il principe e, nel contempo, di rendere servizio allo stato diffondendo i Lumi nella società, cose che i filosofi possono fare per vocazione non avendo in seno alcun interesse particolare, parlando dunque in favore della ragione e dell’interesse pubblico.

Voltaire si rese inoltre protagonista della creazione di una nuova corrente relativa alla storiografia filosofica. Se già in campo filosofico egli svolse un grande ruolo di diffusione dei nuovi principi e di rinnovamento dello stile del discorso filosofico, e in campo politico-culturale una sorta di funzione di rottura e di divulgazione dello “spirito illuminato”, proprio nella storiografia, disciplina che lo appassionò per tutta la vita, avviò un processo di rifondazione e di innovazione profonda e duratura. Alla storia erudita e antiquaria, alla storia compilativa costruita di aneddoti di corte, medaglioni di personaggi illustri e battaglie, Voltaire volle contrapporre una storia delle civiltà colte nella complessità di tutte le loro manifestazioni; alla storia provvidenzialistica e teologica, che andava a leggere le alterne vicende dell’uomo alla luce di princìpi religiosi, volle sostituire una storia filosofica, che non fosse guidata da uno schema precostituito e sovrastorico, ma che al tempo stesso non si limitasse ai fatti, ai particolari, rinunciando a un’interpretazione dell’insieme della vicenda degli uomini e dei popoli. Scrivere storia, per Voltaire, significa certamente muoversi nell’accertamento dei fatti, ma contemporaneamente operare selezioni e organizzare rilevanze così da rintracciare un filo interpretativo, un senso complessivo del divenire storico.
Queste idee trovarono poi effettiva attuazione nel capolavoro sull’età del Re sole, Il secolo di Luigi XIV (1751), dove il secolo è il reale protagonista, non il re. Fu proprio quello straordinario sviluppo delle scienze, delle lettere e delle arti a spingere Voltaire a valutare quest’epoca come uno dei vertici della storia civile dell’umanità, preceduta dall’età greca ed ellenistica, da quella di Augusto e dal Rinascimento italiano.

Il “Saggio sui costumi” del 1756 tenta un affresco ancora più ambizioso se vogliamo, ricostruendo il periodo che va da Carlomagno alla “gloriosa rivoluzione” inglese. Tale opera, al di là della presenza di alcune valutazioni comunque discutibili, può essere considerata una delle pietre miliari della moderna ricerca storica. Presenta infatti diversi motivi di interesse e di novità: l’attenzione, pur rimanendo sempre entro una prospettiva centrata sull’Europa, alla civiltà islamica e alle civiltà extraeuropee; la valutazione del carattere progressivo delle forze borghesi come fattori di rottura all’interno del mondo feudale; il ruolo della riforma protestante nel liberare nuove forze economiche e culturali; l’importanza delle rivoluzioni inglesi nella costruzione del modello politico e civile più avanzato del continente. Dunque Voltaire va a ricostruire la storia dell’Europa medievale e moderna secondo la chiave interpretativa di quell’idea di progresso che si era ormai imposta come un’ottica nuova in cui guardare alla vicenda dell’uomo. Un progresso che egli ricerca dentro i fatti e che non si traduce in uno schema metafisico imposto alla storia, che anzi gli appare piena di delitti e di follie. Il percorso dell’uomo non è affatto unidirezionale e necessario, ma solo orientabile attraverso un uso vigile della ragione ed entro i limiti di questa. Non vi è dunque in Voltaire alcuna fiducia acritica nel fatto che la ragione debba comunque segnare il corso progressivo della storia. Bisogna lavorare nel proprio piccolo, senza avere alcuna garanzia di un sistema filosofico che dia certezze alle nostre azioni e che giustifichi il male e il bene che ci accadono, per migliorare il mondo in cui viviamo. L’ottimismo metafisico, oltre che falso, viene descritta come una filosofia crudele, perché ci lascia in balia degli eventi; ma vi è un altro ottimismo, quello della raison, di una ragione operativa e consapevole dei suoi limiti, che ci induce a lottare per quella rivoluzione degli spiriti che costituisce, per Voltaire, il senso stesso della filosofia.

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