Voltaire contro la guerra

Nell’ambito degli approfondimenti con cui sovente intendiamo dilettarci per approfondire la conoscenza di quel secolo tanto stupefacente quale è stato il Settecento, mi è sembrato opportuno l’affrontare la concezione proposta da Voltaire nei confronti di quello che può esser annoverato come uno dei principali fenomeni intrinsechi alla natura umana: la guerra.

Contro l’assurdo flagello della guerra: è con queste parole che potremmo riassumere il pensiero del saggista e filosofo francese. Se si considerano le motivazioni per esse addotte, niente appare più irragionevole e mostruoso di certe guerre del Seicento e del Settecento. Esemplare, fra le altre, quella detta di devoluzione (1667-1668), mossa da Luigi XIV a Carlo II per il possesso dei Paesi Bassi spagnoli e giustificata, per così dire, in nome del costume locale del Brabante e dello Hainaut, secondo il quale solo i figli di primo letto ereditano i beni patrimoniali; per cui non Carlo II, figlio di secondo letto di Filippo IV di Spagna, ma Maria Teresa, figlia primogenita di quest’ultimo e moglie di Luigi XIV, avrebbe dovuto ereditare quelle terre. Un puro pretesto, insomma, chiaramente rispondente a dei fini egemonici, sul quale il Re Sole montò la sua macchina bellica. Ma quanti conflitti sorgono quotidianamente per motivi futili, facilmente aggirabili, ma che fungono da pretesto per attendere ad altre mira?

Nota al grande pubblico è la pagina scritta da Voltaire sul tema, tratta dalla voce “Guerra” del Dizionario Filosofico (Voltaire iniziò a lavorare al progetto dell’opera a partire dal 1752. Si dice che egli concepì l’idea di scriverlo a seguito di una cena alla corte di Federico II di Prussia. In quell’occasione, come gioco letterario, ciascuno degli intellettuali presenti si impegnò per il giorno seguente a scrivere la voce di un dizionario moderno, ovverosia illuministicamente inteso. Tuttavia solo Voltaire prese sul serio l’idea e ne fece il punto di partenza di quel cammino letterario che lo portò alla compilazione del Dizionario filosofico. Voleva creare un dizionario che, in luogo di quelli diffusi nella sua epoca, non fosse né lungo da leggere né troppo costoso, ossia, in definitiva, che fosse accessibile a un numero più alto di persone. L’intento era quello di educare i colti alle idee illuministiche, pur non elencandole tutte come faceva l’Enciclopedia, criticando quelle che consideravano verità indiscusse in modo ironico e sarcastico) pubblicato a Londra nel 1764, animata dallo spirito del Settecento francese (brio, arguzia, leggerezza); risulta dunque una saggio d’esprit, pur trattando temi di notevole gravità.

La guerra è condannata non in nome della carità cristiana, ma in nome della ragione, la sola forza, a detta di Voltaire, capace potenzialmente di salvare l’umanità da tutti i suoi mali. La ragione “è mite ed umana”, egli scrive, “ci educa all’indulgenza e distrugge la discordia; rafforza la virtù e rende piacevole l’obbedienza alle leggi, invece di mantenerla soltanto mediante la costrizione”.

Se l’uomo privato farà fortuna proprio con le forniture militari, in un secolo denso di guerre, nello scrittore netta è la condanna che emerge anche nei confronti del militarismo, del nazionalismo (in nome del cosmopolitismo) e della guerra fine a sé stessa, uno dei motivi di rottura con Federico II, esplicitato anche nei racconti filosofici.Egli attacca frequentemente l’uso politico della religione per giustificare le guerre, e auspica la distruzione del fanatismo religioso.

Esplicative, in merito a quanto detto fino ad ora, le seguenti parole, tratte direttamente dallo scritto di Voltaire: “E’ senza dubbio una bellissima arte, questa che devasta i campi, distrugge le case, e fa morire, in media ogni anno, quarantamila uomini su centomila. Questo ritrovato fu usato dapprima dai popoli riuniti per il loro comune benessere… Così il popolo romano, in assemblea, giudicava che fosse nel suo interesse andare a battersi prima della mietitura contro il popolo di Veio, o contro i Volsci. E qualche anno dopo tutti i Romani, pensando d’aver ragione in una certa lite contro i Cartaginesi, si batterono a lungo per terra e per mare.
Oggi la cosa è un po’ diversa. Uno studioso di genealogie dimostra a un principe che egli discende in linea retta da un conte, i cui parenti tre o quattro secoli fa avevano fatto un patto di famiglia con una casata di cui non sussiste neppur la memoria; e questa casata aveva delle lontane pretese su una certa regione il cui ultimo possessore è morto di apoplessia. Allora il principe e il suo Consiglio concludono senza difficoltà che quella provincia appartiene a lui per diritto divino. La provincia in questione, che è a qualche centinaio di leghe di distanza, ha un bel protestare che non lo conosce, che non ha alcun desiderio di esser governata da lui, che per dar legge ad un popolo bisogna almeno avere il suo consenso: questi discorsi non arrivano nemmeno alle orecchie del principe, saldo nel suo buon diritto. Egli trova immantinente un gran numero d’uomini che non ha niente da perdere: li veste d’un grosso panno blu a cento soldi il metro, orla i loro berretti con un bel filetto bianco o dorato, insegna loro a voltare a destra e sinistra e marcia con essi alla gloria.
Gli altri principi che sentono parlare di questa bella impresa, subito vi prendono parte, ciascuno secondo il suo potere, e ricoprono così una piccola parte del globo di tanti assassini mercenari quanti non ne ebbero mai al loro seguito Gengis Khan, Tamerlano o Bajazet. Altri popoli lontani, sentendo dire che si sta per battersi, e che ci sono cinque o sei soldi al giorno da guadagnare per quelli che vogliono partecipare alla festa, si dividono subito in bande, come i mietitori, e vanno ad offrire i loro servigi a chiunque voglia assoldarli. E tutte queste moltitudini si accaniscono le une contro le altre, non solo senza aver nessun interesse nella faccenda, ma senza neppur sapere di che si tratta. Talvolta vi sono cinque o sei potenze belligeranti tutte insieme: tre contro tre, o due contro quattro, o una contro cinque, che si detestano ugualmente le une e le altre, si uniscono e si attaccano volta a volta, e sono tutte d’accordo in una sola cosa: di fare il maggior male che si può…
Tutti i vizi di tutte le età e di tutti i paesi del globo riuniti assieme non uguaglieranno mai i peccati che provoca una solo campagna di guerra… Filosofi moralisti, bruciate i vostri libri! Fino a che il capriccio di pochi uomini spingerà milioni di nostri fratelli a scannarsi realmente fra di loro, quella parte del genere umano che si fa dell’eroismo un mestiere sarà la cosa più mostruosa di tutto il creato Che cosa diventano e che m’importano la carità cristiana, la beneficenza, la modestia, la temperanza, la mitezza, la saggezza, la fede, quando una mezza libbra di piombo tirata da mille passi mi fracassa il corpo, ed io muoio a vent’anni tra tormenti orribili, in mezzo a cinque o seimila moribondi, mentre i miei occhi, aprendosi per l’ultima volta, vedono la città dove sono nato distrutta dal ferro e dal fuoco, e gli ultimi suoni che odono le mie orecchie sono i gemiti delle donne e dei bambini che spirano sotto le rovine?”.

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