Uno snodo cruciale: la Dichiarazione dei diritti

Il 26 agosto 1789 è indubbiamente una data di fondamentale importanza, da ricordare ad ogni costo. Difatti, l’Assemblea costituente, prima di dare inizio ai suoi lavori, formulò una solenne ‘Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino’ che segnava/sanciva la fine dell’Antico Regime ed insieme enunciava i principi di una nuova organizzazione politica fondata sulla libertà e sulla nazionalità, un nuovo modello destinato ad espandersi dalla Francia nel mondo. I principi che contraddistinsero questo 1789, ispirati chiaramente al pensiero politico dei Lumi e dichiarati immortali, erano destinati ad ispirare la Costituzione francese del 1791. Bisogna tuttavia osservare che nella dichiarazione dei diritti, accanto agli accenti rousseauiani, alla risoluta volontà di rompere con il passato e di fondare una società rigenerata, traspaiono già quelle contraddizioni che vedremo caratterizzare l’esperienza politica rivoluzionaria.

Negli articoli redatti nell’agosto ’89 si dichiara, a ben guardare, che la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo costituisce il solo fine di ogni società politica, e che, con altrettanta forza, si afferma la necessaria partecipazione di tutti i cittadini alla formulazione delle leggi; è anche vero, però, che la proclamazione dell’eguaglianza è sostanzialmente ridotta dall’articolo che la subordina all’utilità sociale (art. 1) e da quello che la riconosce solo per ciò che concerne la legge e le tasse (art. 6). In sostanza, la disuguaglianza derivante dalla ricchezza restava intangibile. Viene infatti osservato che i principi della dichiarazione parigina del 1789 hanno costituito la solida base delle Costituzioni liberali dell’Ottocento ma che su essi, peraltro, si fonda anche l’ordine sociale dei regimi borghesi. Un giudizio, questo, sostanzialmente incontrovertibile: tutte le Costituzioni dell’Ottocento liberale e borghese, in ogni parte d’Europa, si ispireranno a questa dichiarazione che poggia sul diritto di proprietà.

Bisogna però osservare che per la prima volta, dopo la lunga parentesi del Medioevo, la proprietà era compiutamente legittimata ed era finalmente riconosciuta libera da ogni vincolo e da ogni limitazione. L’esercizio del diritto di proprietà sarà all’origine di una lunga storia di abusi e sperequazioni; tuttavia, nell’ultimo scorcio del Settecento, la rivendicazione di quel diritto suonava come un’affermazione effettivamente rivoluzionaria, in quanto infliggeva il colpo mortale al feudalesimo e facilitava l’avvento dei moderni sistemi di produzione.

Insomma, gli articoli interni alla Dichiarazione enunciavano, da un lato, i diritti inviolabili e inalienabili dell’individuo (eguaglianza di fronte alla legge, libertà personale di fronte agli arbitrii, libertà di opinione e di pensiero, libertà religiosa, libertà di stampa e diritto di proprietà), dall’altro riconoscevano il principio della separazione dei poteri dello Stato e il diritto di ogni cittadino (purché iscritto alle liste tributarie) e concorrere alla formazione delle leggi, personalmente o per mezzo di rappresentanti liberamente eletti. In tale contesto al re era riconosciuto il ruolo di primo funzionario nella Nazione. La Dichiarazione dei diritti poneva di fatto fine all’assolutismo fino ad allora vigente, come anche alla società delle disuguaglianza, del privilegio e dell’arbitrio, che da allora venne indicata con il termine di ‘ancien régime’.

I fondamenti della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino:
Il documento approvato dall’Assemblea nazionale il 26 agosto 1789 rappresentava una sintesi della dottrina liberale sviluppatasi dal pensiero di John Locke fino a Thomas Jefferson, passando attraverso Rousseau e Montesquieu. Il filosofo inglese aveva evidenziato sia la necessità di abbattere tutti i pregiudizi del passato sia quella di introdurre una separazione dei poteri dello Stato (concetto ripreso e rielaborato do Montesquieu ne Lo Spirito delle leggi, 1748) a garanzia della libertà personale dell’individuo. A tale proposito, così recitava l’articolo 16 della Dichiarazione: ‘Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione’. Grande fu l’influenza esercitata da Rousseau, la cui idea di sovranità nazionale (spettante al popolo e basata sul contratto sociale) trovava riconoscimento nell’articolo 3: ‘Il principio di ogni sovranità nazionale risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa’. In base a tale presupposto ai governanti era riconosciuto il ruolo di funzionari del popolo, la cui sovranità si sarebbe manifestata attraverso l’attività legislativa. La Legge è l’espressione della volontà generale, secondo quanto raccomandato dall’articolo 6, il quale riconosceva ai cittadini il diritto di concorrere personalmente o mediante i loro rappresentanti alla sua formulazione. La percezione del passato come lunga catena di violenza e abusi compiuta ai danni dei diritti naturali degli individui differenziava profondamente il testo elaborato dall’Assemblea nazionale dal Bill of Rights formulato nel 1689 dalla borghesia britannica, che faceva appello alla storia per ottenere il ripristino delle antiche libertà.

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