Rousseau e la scoperta del sentimento

Come visto più volte precedentemente, per i filosofi dell’Illuminismo la caratteristica peculiare della natura umana è la ragione, ed è la cultura, guidata e nutrita dalla ragione, che segnò il cammino della civiltà progressiva e progredita. Ponendosi contro il suo secolo, Rousseau contrappone, invece, alla cultura dei Lumi l’intatta natura del sentimento: compito dell’uomo è liberarsi da una civiltà che il ginevrino filosofo giudica corruttrice e menzognera, e dunque ritrovare se stesso nella natura e nel sentimento.

Per Rousseau il sentimento fonte di ogni valore è la voce autentica della coscienza, è l’amore di sé, l’amore, cioè, di quel più profondo esser nostro che ci fa solidali gli uni con gli altri e ci pone in intima comunione col tutto: ciò che perverte l’amor di sé e lo trasforma in egoismo (definito comunemente amor proprio) è la riflessione che differenzia gli uomini e ne turba i rapporti. L’amore di sé genera passioni dolci ed affettuose, mentre odiose e irascibili sono quelle che genera l’amor proprio. La cultura è frutto della riflessione e perciò, anziché identificarsi con la natura profonda dell’uomo, è deviazione dello stato naturale dell’umanità: lo spirito umano si è andato corrompendo a misura che si è perfezionato nelle scienze e nelle arti: “il lusso, la dissoluzione, la schiavitù – scrive lo stesso Rousseau – sono stati in ogni tempo il castigo degli sforzi orgogliosi che abbiamo fatto per uscire dalla felice ignoranza nella quale la saggezza eterna ci aveva posto”. Non un’umanità più felice, ma un’umanità più miserabile è il risultato dunque, secondo Rousseau, della conquista delle scienze e del progresso dei costumi.

Nessuno osa dubitare del fatto che Rousseau sia colui che si è reso protagonista in primis del superamento del razionalismo. Prima dubitò dell’infallibilità della ragione, panacea universale, e ne contestò le pretese di universale dominio. Scoperse il mondo dell’irrazionale, degli istinti, delle passioni, dei sentimenti, del cuore, del naturale, del carattere, con tutti i suoi abissi e le sue cime, e ne rimase affascinato. Per lui l’uomo non è più soltanto un puro e pallido essere razionale, ma qualcosa di più vasto, complesso e ricco, un essere naturale e sentimentale, pieno di contraddizioni, che possiede non solo una mente, ma anche un cuore.

La ragione (continuando a seguire lo schema promosso dal filosofo ginevrino) non può guidare infallibilmente l’uomo; essa l’ha sovente traviato e fuorviato. La ragione creò un mondo di parvenze e falsità, di sterili artifici, di finto progresso, di abbagliante luce esteriore, ma di angusta povertà e vacuità interiore. La ragione ha, in sostanza, disumanato l’uomo. Rousseau grida dunque con forza: ubbidisci ai dettami del sentimento, sii te stesso! Perché seguire il proprio lato più umano e profondo, corrisponde ad esplicare chiaramente la propria personalità vera, quella pura. Massima non certo scevra di pericoli, questa, che può anche condurre a una concreta avversione per la cultura, al rilassamento di ogni disciplina e ordine, al caos, all’anarchia, alla ridicolaggine. Ma Rousseau risponde che moralità e costumi non sono un comandamento della ragione, ma qualcosa d’irrazionale. Ognuno di noi ha in sé una voce divina, che infallibilmente gli suggerisce, qualora egli la volesse prontamente ascoltare, ciò che deve e non deve fare. La decisione non spetta all’intelletto, ma a questo sentimento; non è la scienza ma la coscienza che crea l’ordine morale.

Dallo studio di questa morale intimistica rousseauiana possiamo lanciarci verso una promettente conclusione: ogni azione che non proviene dal tuo intimo, pur essendo ragionevole, giusta e buona in sé, rimane sempre priva di valore morale, scevra di senso di libertà e di dignità.

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