Nel testo, Rousseau afferma con notevole decisione che l’ineguaglianza tra gli uomini non ha origine nello stato di natura, ma che si sia formata in concomitanza dell’affermarsi della società, e che sia al contempo illegittima e dannosa per la moralità e per il benessere dell’umanità intera. Rousseau contrappone nettamente uno stato di natura in cui l’uomo, autosufficiente e isolato rispetto ai suoi simili, è spontaneamente buono e in armonia rispetto a sé stesso e all’ambiente circostante ad uno stato civile dominato dalla competizione, dalla falsità, dall’oppressione e dai bisogni superflui: l’individuo si adatterà acquisendo questi fattori sociali (ovvero la falsità, la competizione..ecc). Auspica quindi, nella conclusione, che si possa, senza dover necessariamente tornare allo stato di natura (anche perché non ne saremmo più capaci), costruire uno stato civile giusto che emendi i danni morali e materiali in cui l’uomo si dibatte: un progetto che sarà concretamente analizzato ed esposto nel Contratto sociale.
In origine l’uomo visse libero, buono, sano e felice. Il suo decadimento iniziò col passaggio allo stato di socialità, nel quale si generarono le ineguaglianze umane, prima tra tutte quella derivante dall’istituzione della proprietà e delle leggi che la proteggono. Il primo che, recintato un terreno ebbe l’idea di dire: “Questo è mio”, e trovò persone così ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile. L’uguaglianza infranta generò l’usurpazione dei ricchi, il brigantaggio dei poveri, le passioni sfrenate di tutti. In questo modo Rousseau contrappone alla cupa visione di Hobbes (al principio della storia era la guerra di tutti contro tutti) il mito dello stato felice e spensierato di natura: un pensiero che sarà anch’esso all’origine di tante, troppe utopie.
Nel Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini ritroviamo i presupposti della dottrina che Rousseau affronterà successivamente nel Contratto sociale (1762), ove è teorizzato il nuovo patto destinato a fondare la moderna idea di nazione. Qui di seguito cito alcune parole tratte dall’opera di Rousseau, alquanto emblematiche:
…Finché gli uomini si accontentarono delle loro rustiche capanne, finché si limitarono a cucire i loro abiti di pelli con spine o reste, ad adornarsi con piume o conchiglie, a dipingersi il corpo con diversi colori, a perfezionare o ad abbellire i loro archi e le loro frecce, a tagliare con pietre affilate qualche canotto da pescatore o qualche grossolano strumento musicale – insomma, finché non si applicarono che ad opere che uno solo poteva compiere e ad arti che non avevano bisogno del concorso di parecchie mani – essi vissero liberi, sani, buoni e felici quanto potevano esserlo per natura, e continuarono a godere fra loro delle dolcezze di rapporti indipendenti: ma dal momento che un uomo ebbe bisogno dell’aiuto di un altro, dal momento che era utile ad uno solo di avere provviste per due, da quel momento l’uguaglianza disparve, s’introdusse la proprietà, il lavoro divenne necessario e le vaste foreste si cambiarono in ridenti campagne che bisognò innaffiare col sudore degli uomini e nelle quali presto si videro germogliare e crescere con le messi e la schiavitù e la miseria. La metallurgia e l’agricoltura furono le due arti la cui invenzione produsse questa grande rivoluzione. Per il poeta sono l’oro e l’argento, ma per il filosofo sono il ferro e il grano che hanno incivilito gli uomini e perduto il genere umano…