“Il Caffè”

A Milano, tra il 1764 e il ’66 esce un giornale che accoglie gli scritti dell’Illuminismo cittadino: “Il Caffè”. Nei suoi due anni di vita il periodico milanese, animato dal gruppo di giovani amici dell’Accademia dei Pugni (istituzione culturale fondata nel 1761 a Milano) che a partire dal 1761 si riunì in casa di Pietro e Alessandro Verri, delineò un articolato programma di riforme e avviò contemporaneamente una vera e propria battaglia culturale volta alla formazione di una classe dirigente moderna e aperta a una dimensione europea. Del gruppo facevano parte Cesare Beccaria, Alfonso Longo e Paolo Frisi.

A Napoli, già teatro nel primo Settecento di un vivace dibattito intellettuale, un analogo rinnovamento fu promosso da Antonio Genovesi con i suoi scritti e con l’insegnamento dalla cattedra di economia politica (la prima istituita in Europa, nel 1754). La sua azione venne sostenuta e continuata dagli allievi diretti e indiretti: Domenico Grimaldi, Gaetano Filangieri, Giuseppe Maria Galanti, Giuseppe Palmieri e Mario Pagano. In Toscana, mancò una produzione teorica paragonabile a quella degli illuministi lombardi e meridionali, ma vi furono uomini di cultura che parteciparono direttamente alle riforme con notevoli competenze tecniche.

Le opere degli illuministi francesi erano ampiamente conosciute in Italia e spesso tempestivamente tradotte. Nella stampa periodica, negli scritti dei riformatori, ma anche nei testi delle leggi e degli editti promulgati dai sovrani, sono lampanti gli influssi provenienti dall’Encyclopédie, della scuola fisiocratica, di Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Helvétius, d’Holbach. La filosofia sensista di Condillac, che soggiornò a lungo alla corte borbonica di Parma, suscitò un vivace dibattito cui partecipò Pietro Verri con il celebre Discorso sull’indole del piacere e del dolore del 1773. Il pensiero inglese e scozzese (Locke, Ferguson, Smith, Hume) fu recepito spesso indirettamente, attraverso la mediazione della stampa periodica.

Sia gli articoli de “Il Caffè”, sia le numerose tradizioni Genovesi costituirono un importante tramite culturale con la riflessione europea; d’altra parte, gli intellettuali italiani parteciparono ai grandi dibattiti del secolo sulla libertà di commercio dei grani, sul lusso, sulla tortura e sulla pena di morte, sulla felicità, sulla tolleranza religiosa. Molti intrattennero rapporti epistolari o di amicizia con diversi pensatori francesi, e alcuni soggiornarono a lungo a Parigi. Insomma, l’apertura cosmopolitica alla “repubblica delle lettere sparse per tutta l’Europa” (Pietro Verri) fu reciproca: a parte l’eccezionale successo internazionale del saggio Dei delitti e delle pene (1764) di Beccaria, vennero tradotti e apprezzati all’estero molti altri scrittori italiani, come la Scienza della legislazione di Filangieri e Della moneta di Ferdinando Galiani, mentre il catasto milanese fu ammirato da Montesquieu e le riforme economiche inoltrate in Toscana vennero largamente ammirate dal fisiocratico Mirabeau.

Gli illuministi italiani ripresero l’esortazione di Muratori a promuovere una cultura utile, animata da un impegno etico e civile, volta ad accrescere la felicità delle Nazioni e le libertà individuali. Invitarono a coltivare le scienze sperimentali, la storia e l’economia, ironizzando sulla pedanteria della sterile erudizione, sul gretto conservatorismo e sulla chiusura provinciale di gran parte della cultura italiana. Anche la dibattuta questione della lingua fu affrontata nella prospettiva della battaglia culturale, che richiedeva strumenti di comunicazione vivi e moderni, emancipati dal carattere elitario della tradizione letteraria. Alessandro Verri dichiarava: “Porteremo questa nostra indipendente libertà sulle squallide pianure del dispotico Regno Ortografico”.

L’attenzione per la lingua era connessa a quella per l’educazione, naturalmente, che andava rinnovata nei metodi e nei contenuti a tutti i livelli: a partire dalla formazione culturale della nobiltà, per vincerne l’inerzia e trasformarla in autentica classe dirigente, sino all’introduzione di scuole professionali e dell’istruzione pubblica elementare, per diffondere tra le classi popolari un minimo di competenze tecniche, di valori civile e di conoscenza delle leggi. Solo l’educazione e la divulgazione possono consentire alla nuova cultura di divenire il motore del progresso sociale e civile. Genovesi e Filangieri erano coscienti del fatto che l’altissimo tasso di analfabetismo nel Meridione precludeva la possibilità di un consenso alle riforme da parte delle masse contadine, aggravando l’isolamento degli illuministi che già dovevano scontare l’ostilità della cultura ufficiale e della reazionaria nobiltà terriera.

Veicolo delle istanze riformatrici erano le accademie scientifiche e agrarie, i circoli culturali e, in misura minore, le università. Ma furono soprattutto giornali e periodici a essere considerati come strumento primario per la formazione di un’opinione pubblica illuminata. Nacquero nuove testate e anche quelle già esistenti passarono dalla prevalenza di temi eruditi e di uno stile compassato, alla vivace e coinvolgente discussione di questioni economiche, politiche, scientifiche e di costume. Il maggiore e fulgido esempio di giornalismo moderno fu quello, come detto, de “Il Caffè”, che si ispirò esplicitamente ai modelli inglesi dello Spectator e del Tater, rivolgendosi a un pubblico vasto ed eterogeneo, dagli operatori economici agli uomini politici e agli amministratori pubblici, sino all’emergente pubblico femminile. Fu proprio il gruppo milanese guidato da Pietro Verri a nutrire la maggiore fiducia nel progresso, nell’espansione dei lumi e nelle capacità dell’individuo di perseguire razionalmente la propria felicità. Questo ottimismo era favorito dalla collaborazione con i ministri e i funzionari di Maria Teresa negli anni Sessanta e Settanta, oltre che dal clima generale di discreto consenso alle riforme. Altrettanto incoraggiante era la situazione in Toscana, mentre l’immobilismo della società napoletana faceva apparire come utopistiche le aspirazioni di Filangieri a una convivenza civile in cui ciascun cittadino, cosciente dei propri diritti e doveri, contribuisse attivamente al dibattito delle idee e alle trasformazioni sociali. Il luogo primario di formazione di questa cittadinanza consapevole venne da lui individuato nell’opinione pubblica: un tribunale invisibile, ma che agisce di continuo, e che è più forte dei magistrati e delle leggi, dei ministri e dei re.

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