Referendum: cosa cambia?

Oltre a ridurre il numero dei senatori e a cambiare le funzioni del Senato, il ddl Boschi modifica anche i poteri dell’esecutivo, i compiti delle Regioni, cambia le regole per l’elezione del Capo dello Stato, per le leggi di iniziativa popolare e per i referendum, elimina il Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) e le province. Vediamo ora cosa cambia nello specifico rispetto ai referendum.

Innanzitutto, cos’è un referendum? Potremmo definirlo come un istituto giuridico attraverso cui si concede all’elettorato la possibilità di poter di esprimere il proprio parere su delle proposte specifiche attraverso un voto diretto. Si tratta dunque di uno strumento di democrazia diretta, che consente agli elettori di pronunciarsi senza nessun intermediario su un tema specifico oggetto di discussione.

Arrivano i referendum propositivi (per proporre una nuova legge: vincola il legislatore ad emanare una legge coerente con l’espressione popolare) e di indirizzo (per sentire il parere popolare circa una determinata questione politica), nasce una doppia opzione per quello abrogativo. Sono le principali novità per gli istituti di democrazia diretta dei nuovi articoli 71 e 75 della Costituzione, insieme a regole diverse per le proposte di legge di iniziativa popolare. In parte però si tratta di innovazioni per ora solo teoriche perché le modalità del referendum propositivo (che sottopone al voto determinate proposte di legge) e di quello di indirizzo, dovranno essere indicate prima da norme costituzionali e poi da una legge bicamerale. Attualmente i referendum propositivi sono possibili solo in alcune Regioni, mentre nel 1989 si tenne un referendum di indirizzo sulla Costituzione europea. Per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare invece non basteranno più 50 mila firme, ne serviranno 150 mila. In cambio il Parlamento dovrà approvarle in tempi certi (da definire nei regolamenti), mentre oggi finiscono quasi sempre nel dimenticatoio. Per il referendum abrogativo restano i requisiti attuali (500mila firme e il quorum della maggioranza degli aventi diritto), ma se si raggiungono le 800mila firme il quorum può abbassarsi alla maggioranza dei votanti alle ultime politiche. Resta il divieto di proporre referendum su leggi tributarie e di bilancio, amnistia, indulto e trattati internazionali.

Leggi di iniziativa popolare:
se vince il “No”: per fare una proposta di legge di iniziativa popolare servono le firme di 50.000 elettori (articolo 71), oltre al testo della legge redatto in articoli; nella Carta non c’è la garanzia che queste proposte saranno discusse e votate;
se vince il “Sì”: ci vorranno 150.000 firme; viene introdotta la garanzia costituzionale che la legge di iniziativa popolare verrà discussa e votata in Parlamento.

Referendum:
se vince il “No”: per i referendum abrogativi rimane il limite minimo del 50%+1 degli aventi diritto per rendere valido il voto; nella Carta non c’è la garanzia che queste proposte saranno discusse e votate;
se vince il “Sì”: per i referendum abrogativi rimane il limite minimo al 50%+1 degli aventi diritto; se sono almeno 800.000 gli elettori a richiederlo, il quorum si abbassa al 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni per la Camera dei Deputati.

Precedente Province e regioni a statuto speciale: cosa cambia. Successivo L'abolizione del Cnel