Rapporto sulle Cinque giornate di Milano

L’importanza rivestita nell’ambito del nostro Risorgimento da Josef Radetzky, feldmaresciallo austriaco a lungo governatore del Lombardo-Veneto, è nota a tutti. Con un servizio nell’esercito austriaco durato oltre settant’anni, viene oggi ricordato per essere stato il comandante dell’esercito austriaco durante la Prima Guerra d’Indipendenza italiana. Il mito di Vittorio Emanuele II “re galantuomo” cominciò dopo Custoza, all’abdicazione di Carlo Alberto. Gli storici sabaudi lo hanno rappresentato fermo nel rifiuto di accettare clausole di armistizio che potessero risultare in qualche modo lesive dell’onore del suo casato, come il ritiro dello Statuto.

Studi recenti, tuttavia, hanno fatto cadere la versione per la quale ci fu un duro contrasto manifestatosi tra il re e Radetzky; anzi, hanno dimostrato che il vecchio maresciallo consentì saggiamente a rendere meno gravose le condizioni dell’armistizio nell’intento di dare al giovane sovrano la possibilità di resistere alla pressione dei democratici e di avviare una politica conservatrice, pur lasciando formalmente in vita lo Statuto elargito dal padre.

Radetzky combatté contro i Francesi negli anni cruciali della Repubblica e dell’Impero napoleonico. Fedelissimo alla monarchia asburgica, servì nel corso della sua lunga carriera militare, durata 72 anni, ben cinque imperatori. Morì a Milano nel 1858, alla vigilia della seconda guerra per la liberazione del Lombardo-Veneto. Figura peraltro di spicco del dominio austriaco in Italia, fu esecrato dai patrioti italiani, lombardi in particolare. Non fu solo soldato, ma anche politico avveduto.

Questo il suo rapporto sulle Cinque giornate di Milano:

Milano, 18-19 marzo
Mi trovavo nel mio ufficio quando scoppiò la rivolta e fui costretto a ritirarmi nel Castello Sforzesco per non essere preso dalla folla. Ogni istante giungono notizie sempre più allarmanti: che barricate sono state innalzate in vari punti della città. Allora diedi il segnale di allarme alle truppe. […] Durante questo tempo si combatté in vari punti della città, si sparava dalle finestre, si gettava ogni sorta di oggetti dai tetti delle case sui soldati; alcuni furono uccisi. Quando il generale Rath si portò con le sue truppe nell’interno della città per occupare il Duomo e il Palazzo Reale, si combatté nelle strade; pure i soldati poterono raggiungere i loro obiettivi dopo aver abbattuto le barricate. […] Fu proclamato lo stato d’assedio e la direzione degli affari politici fu affidata al consigliere, conte Pachta, la cui casa era stata saccheggiata dalla folla. Non posso sapere le mie perdite, ma non saranno grandi. Per ora regna la calma, ma è possibile che domattina ricominci il combattimento. Sono deciso a rimanere padrone di Milano e, se non si cessa di combattere, bombarderò la città. […]

Milano, 20 marzo
Nella situazione di Milano nulla di nuovo; già alla mattina qua e là si cominciò a sparare, poi la fucileria si estese a tutta la città. Le truppe, ad onta delle grandi fatiche, sono pronte a combattere, tutte le strade sono chiuse dalle barricate che non sono un serio ostacolo per i soldati. […] Spero di prendere la città senza bombardarla, perché non ho adoperata l’artiglieria, soltanto ho fatto puntare i cannoni contro le barricate e i punti più importanti delle città. […] Al confine piemontese sino a questo momento regna la calma; la mia situazione diverrà critica se le schiere dei volontari, annunziati da tanto tempo, profittassero del momento odierno per attaccarmi. Non mi era possibile mandare un dispaccio perché tutte le comunicazioni con l’esterno erano interrotte e soltanto difficilmente mi può giungere qualche notizia. Ieri continuò con grande alacrità il combattimento; ci furono molte vittime d’ambo le parti. Non cento, ma mille sono le barricate che chiudono le vie. […] Il popolo è preso da fanatismo, giovani e vecchi, donne e fanciulli combattono contro i nostri soldati. […] Le mie truppe sono degne d’encomio, da quattro giorni prestano servizio sotto l’imperversare della pioggia, mi si spezza il cuore pensando che questo coraggio non può essere adoperato nel campo di battaglia. […]

Milano, 22 marzo
Devo evacuare Milano, questa è la più triste ora della mia vita! Tutto il paese è in rivolta; sono minacciato alle spalle dal Piemonte, tutti i ponti sono tagliati e non ho legname da costruzione, né mezzi di trasporto. Non so cosa succeda alle mie spalle. Io mi ritirerò verso Lodi per evitare i grandi centri. La mia ritirata sui bastioni sarà difficile, perché il mio carriaggio è molto pesante e i funzionari civili e militari, che si sono rifugiati nel Castello, vogliono venire con me.

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