Provvedimenti di politica economica

Napoleone, come precedentemente detto, considerava il regno d’Italia una sorta di appendice agraria dell’Impero francese, e questa valutazione influì logicamente sulle decisioni della politica economica concernenti la penisola stessa. La borghesia commerciale e industriale del Nord, sacrificata dalla decisioni di Parigi, danneggiata dagli effetti del blocco continentale, finirà addirittura nel 1814 per salutare con favore il ritorno degli Austriaci.

Non meno grave il quadro del malcontento popolare: alla protesta contro la coscrizione obbligatoria ed il prelievo fiscale si aggiunse – quando la lotta contro il Papato si manifestò in tutta la sua drammaticità – l’opera di sobillazione di quella parte del clero che era rimasta fedele all’Antico Regime.

Nel regno del Sud – specie quando Gioacchino Murat successe nel 1808 a Giuseppe Bonaparte chiamato al regno di Spagna – le riforme furono portate vigorosamente avanti. Tra il 1807 e il 1809 furono promulgate delle leggi che affondarono i principi stessi del feudalesimo: questo venne colpito a morte non solo sul piano giuridico e politico, ma anche nelle sue basi economiche, nel possesso della terra. La legge prevedeva l’ordinamento d’uno sterminato patrimonio fondiario secondo il moderno diritto di proprietà. Un compromesso concesse ai baroni la proprietà d’una parte dei loro antichi domini, mentre quella restante veniva attribuita ai comuni, poi divisa in quote e quindi distribuita ai contadini dietro versamento di una somma rateizzata. La legge tendeva a formare una piccola proprietà contadina per consolidare le basi sociali del regime. Bisogna dire che tuttavia quest’ultimo obiettivo non venne raggiunto, in quanto delle terre ex feudali non divennero padroni i contadini poveri, bensì la borghesia rurale. I ceti civili delle province (piccoli e medi proprietari, professionisti, impiegati), forti del controllo dei municipi, conquistati proprio in quegli anni grazie alla legislazione di Murat, si impadronirono del patrimonio dei baroni: ne usurparono le parti migliori e le gestirono con la vecchissima pratica degli affitti. Dalle rovine del feudalesimo non decollò nel Mezzogiorno agrario l’azienda di tipo moderno: mancavano i mezzi finanziari e difettava soprattutto la spinta del profitto, la cultura capitalistica, per intenderci.

La borghesia provinciale, comunque, successe al feudalesimo nel controllo delle campagne meridionali ed insieme conquistò funzioni direttive a tutti i livelli dell’amministrazione statale. Emersero in tal modo nuove figure sociali (funzionari, impiegati), nuovi ideali civili (il servizio, la carriera) ed un nuovo senso della fedeltà: fedeltà alla carica, al ruolo, e non più esclusivamente al principe.

Pur nelle sue più disparate contraddizioni, il bilancio della dominazione napoleonica in Italia può esser considerato decisamente positivo. Appare inoltre sempre più chiara, nell’Europa napoleonica, la complementarità della sviluppo dei vari paesi: una circolazione di fatti e di idee che ci avvicina al tempo presente.
I Francesi che vennero nel Mezzogiorno nel 1806 non erano più i conquistatori del 1799, ma degli amministratori che portavano nel regno notevoli capacità di governo ed una seria volontà di riforme.

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Un commento su “Provvedimenti di politica economica

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