Il caso esemplare dei nuovi imprenditori internazionali della guerra è rappresentato dagli svizzeri. La fanteria svizzera si era formata in un contesto tanto socioeconomico quanto geografico molto diverso da quello che aveva prodotto la cavalleria feudale. Si trattava di zone montane, molto popolose, abitate da contadini liberi. Questi avevano imparato a difendersi dalle aggressioni degli Asburgo e del duca di Borgogna sfruttando appunto le caratteristiche tipiche dell’ambiente montano, che rendeva problematica l’azione della cavalleria, e utilizzando armi molto semplici che derivavano dagli strumenti del lavoro quotidiano: un lungo bastone su cui era legata un’ascia, ad esempio, da cui derivò l’alabarda (un’unica arma con una punta di lancia, una lama d’ascia e un uncino con cui si disarcionava il cavaliere). Poi venne la picca, ancora più lunga (arrivava a 5 o a 6 metri), con una punta di acciaio di oltre un metro per tenere lontana la cavalleria.
Gli svizzeri impararono, attraverso un costante addestramento, a manovrare gruppi di seimila uomini, ben serrati anche in marcia, in modo da non far passare incolume neanche un cavaliere. Questa macchina da guerra, assoldata da molti grandi sovrani, originariamente messa a punto per scopi puramente difensivi, divenne col tempo uno strumento efficace anche per l’attacco, dato che poteva caricare anche gli altri reparti di fanteria con una forza inarrestabile. Ciò che rendeva temibili gli svizzeri era il forte legame che li univa, quasi di natura democratica (arrivavano ad eleggere i propri ufficiali) e che faceva sì che essi combattessero compatti, con un ammirabile senso della disciplina e uno spirito di corpo sconosciuti agli eserciti feudali e ad altri mercenari. La loro attività era una vera e propria industria nazionale, tanto che le trattative per assoldarli andavano fatte direttamente con le autorità cantonali.