Parigi insorge: la Rivoluzione di Luglio.

Carlo X di Francia, visto che le elezioni del 1827 e anche quelle del 1830 continuavano a segnare l’imperterrita avanzata della borghesia liberale, decise di piegare l’opposizione abolendo le garanzie costituzionali. Il 26 luglio il capo del governo del re, il principe di Polignac (Jules Auguste Armand Marie de Polignac, Versailles, 14 maggio 1780 – Parigi, 2 marzo 1847), rappresentante dell’emigrazione, emanò quattro Ordinanze con le quali sciolse il Parlamento, sospese la libertà di stampa e modificò il sistema elettorale a vantaggio dell’aristocrazia terriera. Questo fu un vero e proprio colpo di Stato. Parigi insorse.

Innalzate le barricate, i parigini resistettero tre giorni (“Les trois glorieuses”: 27, 28 e 29 luglio 1830) agli assalti delle truppe. Accanto alla borghesia si batterono gli studenti e il proletariato parigino; l’importante partecipazione popolare rese possibile il trionfo della rivoluzione. Incalzato dall’opposizione, il Parlamento trovò il coraggio di proclamare la decadenza della dinastia borbonica. Carlo X non poté far altro che fuggire in Inghilterra.

Nonostante la partecipazione popolare, la direzione del movimento rivoluzionario rimase nelle mani della borghesia, che, memore di quanto avvenne nell’ormai lontano ’93, si preoccupò di chiudere il circuito rivoluzionario innalzando al trono Luigi Filippo d’Orléans (Parigi, 6 ottobre 1773 – Claremont House, 26 agosto 1850), appartenente a un ramo collaterale dei Borbone. Il nuovo sovrano, per i suoi atteggiamenti liberali e per il suo glorioso passato di combattente negli eserciti della Rivoluzione, offriva sicure garanzie di lealtà. Assumendo il titolo di “re dei Francesi”, Luigi Filippo accettava implicitamente d’esser re non per diritto divino, ma per volontà espressa della nazione, e assumeva il tricolore rivoluzionario come bandiera della Francia.

La nuova Carta costituzionale, approvata il 14 agosto, conservò l’impianto precedente. Non era più, però, una Carta concessa dal sovrano, bensì un patto stipulato tra il popolo e la dinastia d’Orléans. Georges Lefebvre (Lilla, 7 agosto 1874 – Boulogne-Billancourt, 28 agosto 1959), massima autorità storica per quel che riguarda la Rivoluzione francese, scrisse che la rivoluzione del 1830 altro non era che l’ultimo atto di una rivoluzione cominciata nel 1789.

Il censo elettorale fu abbassato da 300 a 200 franchi, l’età per esercitare il diritto di voto fu ridotta da 30 a 25 anni, il numero degli elettori passò da 100000 a 250000. La stampa fu liberata dai divieti; fu ripristinata la Guardia nazionale, ma vi furono ammessi solo i cittadini che pagavano le imposte. La maggior parte della popolazione rimaneva però senza diritti politici; non furono abrogate le leggi contro gli scioperi e fu mantenuta la pesante pressione fiscale. La condotta del governo fu in tal senso scaltra. Al momento opportuno l’autorità dello Stato fu ristabilita su tutta la Francia, e la svolta progressista subì così una dura frenata. Certo è che nel 1830, in Francia, il potere passò dalle mani dell’aristocrazia a quelle della borghesia, o almeno della borghesia bancaria, industriale, finanziaria.

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