Nazionalismo liberale nel mondo germanico

La rivoluzione di Luglio ebbe importanti ripercussioni anche nella Confederazione germanica: in Baviera, in Sassonia, nello Hannover, nel Brunswick, nell’Assia-Kassel i principi furono costretti a concedere delle costituzioni. Il movimento liberale e nazionale che stava sorgendo suscitò così larghi consensi nelle popolazioni da allarmare i governi europei. Austria, Prussia e Russia decisero così di convocare nel 1833 a Munchengrätz un convegno che deliberò l’opportunità di opporre ferma resistenza a ogni ulteriore richiesta di stampo liberale.

Anche nel mondo asburgico il risveglio delle nazionalità si manifestò con vigore: accanto ai fermenti degli Italiani e dei Polacchi, di cui abbiamo dato ampiamente conto nei precedenti articoli, l’impero multietnico dovette contrastare le spinte delle varie nazionalità inserite entro i suoi confini: parliamo degli Sloveni, dei Croati, dei Cechi, degli Ungheresi. I primi segni di manifesta inquietudine comparvero nel mondo della cultura: si tornò con interesse alle antiche memorie patrie e si valorizzarono polemicamente le lingue nazionali. In Boemia e in Slovenia le proteste contro gli austriaci segnarono le prime testimonianze della storia moderna di quei popoli. Grandi consensi raccolse in Ungheria il movimento patriottico e indipendentista che nel 1837 unì nobili e borghesi intorno a un programma di ricostituzione democratica della nazione ungherese.

Gli entusiasmi nazionali erano intrecciati a quelli di carattere internazionale, erano nutriti dal colloquio con i patrioti degli altri paesi, profondamente caratterizzati dall’esigenza di radicarsi in profondità nel proprio passato, nella propria antica lingua riscoperta, valorizzata e studiata. In Boemia, in Polonia, in Serbia, in Slovenia sorsero istituzioni e società linguistiche; si procedette all’insistente pubblicazione di dizionari, grammatiche, raccolte di vecchie fonti. Lo studio della lingua natia si accompagnava sovente alla riscoperta della coscienza nazionale. Ci si riscopriva puri, giovani, incorrotti, simbolo di valori originari e autentici. Il fine comune rimaneva l’umanità nel suo complesso, ma il veicolo della sua realizzazione doveva essere il popolo, i popoli. Il nazionalismo era un fenomeno tanto ingenuo quanto spontaneo, non ancora contaminato da ideologie imperialistiche. Il pericolo di degenerazione, tuttavia, era dietro l’angolo. L’affermazione indiscussa di “sé” implica, per natura delle cose, la lotta contro “l’altro”. Quasi scontato che si arrivasse rapidamente a vedere il mondo come teatro di guerra e di scontro. Era fatale che il culto della forza degenerasse nel culto della violenza.

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