Nascono le prime dottrine socialiste

Gli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento: nascono le prime dottrine socialiste.

Il processo d’industrializzazione ebbe profonde conseguenze entro le condizioni di vita degli individui, e non tutte furono positive. Nacquero le prime forme di sfruttamento del mondo operaio, dove regnavano miseria e disoccupazione. Si aggiunsero a ciò i processi di alienazione provocati dal macchinismo e i danni psicologici causati dallo sradicamento della comunità arcaica del villaggio. Le nuove condizioni del lavoro provocarono delle ribellioni istintive, quali per esempio la protesta luddista; accanto a queste reazioni impulsive e immediate presero tuttavia corpo risposte dottrinali di lungo periodo che sboccarono nella formazione della nuova mentalità operaia.

Le fabbriche e i quartieri dei sobborghi costituirono gli ambienti dove gli operai, incontrandosi, acquistarono progressivamente la consapevolezza della comune appartenenza a una classe e cominciarono ad avere percezione della grandiose trasformazioni che stavano avvenendo. Il senso acuto e diffuso della trasformazione dell’ordine esistente fece crollare l’antica rassegnazione e accese le speranze di una migliore organizzazione della società. Emerse lentamente la richiesta di trasformare radicalmente le condizioni economiche esistenti insieme al progetto di una nuova organizzazione della produzione che, cancellando il ruolo dell’imprenditore capitalista, doveva porre in primo piano gli interessi dei lavoratori associati nella comunità di riferimento.

Queste nuove esigenze ispirarono le utopie socialiste del primo Ottocento. Pur trattandosi di utopie, quindi di progetti che non avrebbero mai potuto trovare effettiva attuazione, si deve comunque considerare che queste ebbero una forte valenza critica della realtà circostante, e suscitarono notevole entusiasmo nell’immediato.

Le utopie socialiste più largamente diffuse negli anni Venti e Trenta del secolo furono il collettivismo di Saint-Simon e l’associazionismo di Fourier. Per Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon (Parigi, 17 ottobre 1760 – Parigi, 19 maggio 1825), filosofo francese dal temperamento bizzarro, la Rivoluzione francese e lo Stato liberale hanno avuto il merito di distruggere la feudalità, ma si sono rivelati incapaci di costruire la società nuova, di inaugurare quella che lui definisce l'”era organica”. Questa sarà caratterizzata dall’associazione degli operai e degli industriali: spetteranno allo Stato l’organizzazione scientifica della produzione e la ripartizione delle risorse condotta equamente in base alle capacità e alle opere di ciascuno.

Anche il filosofo francese François Marie Charles Fourier (Besançon, 7 aprile 1772 – Parigi, 10 ottobre 1837) pensava che gli uomini stessero avanzando verso l’era dell’Armonia, verso una società nuova: una società che si sarebbe organizzato spontaneamente dal basso, seguendo il principio dell’Attrazione, un’energia nuova che avrebbe connesso tra loro le cellule della nuova umanità, ossia i “falansteri”: comunità autogestite nelle quali gli individui si sarebbero dedicate soltanto al lavoro attraente e i proventi del lavoro sarebbero stati ripartiti proporzionalmente ai bisogni.

Distaccandosi dalle due teorie precedenti, Louis-Auguste Blanqui (Puget-Théniers, 8 febbraio 1805 – Parigi, 1º gennaio 1881), infaticabile organizzatore di trame rivoluzionarie, non intese tanto descrivere la futura società socialista, quanto invece studiare i mezzi insurrezionali che avrebbero potuto abbattere i governi borghesi e garantire l’effettivo esercizio del potere alle forze popolari. Blanqui, infatti, elaborando abilmente la lezione di Buonarroti, teorizzò la dittatura del proletariato come momento conclusivo della rivoluzione sociale, avanzando così un tema che poi sarà ripreso da Engels e da Marx.

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