Lo sviluppo dell’Italia, tra luci e ombre

Lo sviluppo della penisola, tra arretratezze e innovazioni.

Nei primi anni Trenta l’ascesa al trono di nuovi sovrani negli Stati più importanti della nostra penisola offrì l’occasione di introdurre alcune limitate (ma non secondarie, anzi) riforme, mentre la regolare convocazione (tra il 1839 e il 1847) di congressi annui di scienziati segnò l’apertura di un interessante dibattito relativo ai problemi dell’economia e della società. Questo approccio innovativo si rivelò funzionale per la creazione di un clima più aperto e tollerante, e si fece viva nell’opinione pubblica l’esigenza di discutere i problemi del moderno assetto dell’intera penisola.

Anche se la dominazione austriaca subordinò, in sostanza, l’economia del Lombardo-Veneto agli interessi dell’Impero asburgico, l’azione di quel governo ebbe aspetti comunque positivi e contribuì a creare condizioni favorevoli allo sviluppo. Esemplari, per l’epoca, furono l’ordinamento amministrativo e la legislazione civile, degna d’esser addirittura paragonata a quella napoleonica. Di buon livello la rete stradale, curate le scuole, anche quelle elementari, tradizionalmente meno soggette ad attenzioni. Dopo il 1840 le prime costruzioni ferroviarie e l’impianto di alcuni nuclei industriali incoraggiarono l’afflusso del capitale straniero, soprattutto nel settore tessile e in quello metalmeccanico.

Tra gli anni Trenta e Quaranta si formarono i primi nuclei dell’industria siderurgica nelle Prealpi lombarde, in Val d’Aosta, in Liguria, nella Maremma toscana e anche in Calabria. Erano indubbiamente impianti modesti, tecnicamente arretrati e ancora semi-artigianali. Ma era pur qualcosa. Mancavano tuttavia forti stimoli per la produzione; l’assenza di giacimenti di carbon fossile costringeva gli imprenditori a usare il carbone di legna, che impediva loro di sfruttare le nuove tecniche offerte degli altiforni. Le officine siderurgiche, perciò, rimasero frazionate e disperse; solo a Genova, a Milano e a Torino si formò qualche gruppo di proletariato moderno, senza peraltro che quelle stesse città assumessero la fisionomia che le ha caratterizzate da quando son divenute i vertici del “triangolo industriale”. Il sistema di fabbrica, comunque, stentò a introdursi anche nel predominante settore tessile. Solo nel settore della filatura del cotone e del lino l’avvento delle innovazioni tecnologiche incentivò i processi produttivi che si concentrarono in alcuni opifici di dimensioni consistenti.

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