Questo scriveva Alessandro Galante Garrone, storico, scrittore e magistrato italiano.
Di fatto, anche durante il ventennio fascista lo Statuto albertino continuò, almeno formalmente, ad avere vigore. Si continuò imperterriti a giurare di essere fedeli al re e ai suoi Reali Successori, e di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato.
Nello Statuto albertino si trovano sancite tutte le libertà tipiche del costituzionalismo ottocentesco.: uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (Art. 24), libertà individuale (Art. 26), inviolabilità del domicilio (Art. 27), libertà di stampa (Art. 28), di associazione (Art. 32) diritto di proprietà (Art. 29). Il primo articolo, nonostante predicasse la tolleranza degli altri culti, proclamava, come nell’Antico Regime, il Cattolicesimo come sola religione ufficiale dello Stato. Circa la forma di governo, lo Statuto prevedeva un governo monarchico rappresentativo, quindi il potere diviso tra re e nazione, il potere legislativo esercitato dal re e dalle due Camere, quello esecutivo solo dal re tramite i ministri da lui nominati. La giustizia è emendata dal re e amministrata in suo nome dai magistrati da lui stesso nominati.
Parrebbe esercizio facile, quello di rilevare i limiti dello Statuto. Al re venivano concessi ampi poteri, e gli stessi ministri erano responsabili di fronte a lui, e non al Parlamento. Ma sono i limiti oggettivi di un sistema strettamente costituzionale e non ancora parlamentare. Fu l’opera di Cavour, dei ministri della Destra, di Depretis e di Giolitti a superare tali limiti e a dar vita, al di là di essi, a un regime parlamentare a tutti gli effetti.