L’invasione italiana dell’Albania

7 aprile 1939 – L’Italia attacca l’Albania

«L’Albania è la Boemia dei Balcani, chi ha in mano l’Albania ha in mano la regione balcanica. L’Albania è una costante geografica dell’Italia. Ci assicura il controllo dell’Adriatico […] nell’Adriatico non entra più nessuno […] abbiamo allargato le sbarre del carcere del Mediterraneo».
(Benito Mussolini, riunione del 13 aprile 1939 del Gran Consiglio del Fascismo)

L’Albania era già stata occupata da un corpo di spedizione italiano nel giugno 1917, durante la Grande Guerra; da quel momento il Paese era stata sottoposta al protettorato italiano. Con il trattato di Tirana del 1920, però, Giolitti aveva rinunciato al protettorato sullo Stato balcanico, riconoscendone la piena indipendenza in cambio dell’isolotto di Saseno. Le cose cambiarono radicalmente con l’avvento al potere di Mussolini. La politica estera fascista iniziò la propria attività di espansione nei Balcani con le operazioni diplomatico-militari di penetrazione in Albania. La proclamazione nel 1925 di Ahmed Zog [(Burrel, 8 ottobre 1895 – Hauts-de-Seine, 9 aprile 1961; è stato Primo ministro dell’Albania (1922-1924), Presidente della Repubblica Albanese (1925-1928), e Re d’Albania (1928-1939)] quale capo di Stato pose le basi per la prosecuzione e il rafforzamento dell’influenza italiana nella regione: già nel 1925 vennero stipulati accordi tra i due Paesi grazie al lavoro diplomatico di Alessandro Lessona, prima, e del Segretario Generale del Ministero Affari Esteri Salvatore Contarini, poi. Con la ratifica di questi accordi, Zog assecondò tutte le richieste italiane:

«In un trattato segreto militare […] l’Albania metteva a disposizione dell’Italia il suo territorio
nell’eventualità di una guerra con la Jugoslavia; […] concessioni di zone petrolifere, […] concessioni
agricole in zone da definirsi, […] costituzione della Banca di emissione albanese con capitali
italiani».

Il 26 giugno 1926 venne siglato l’accordo con il quale l’Azienda Italiana Petroli Albania (AIPA) assunse, in concessione esclusiva, la gestione delle risorse petrolifere della regione del Devoli. Il 30 agosto 1933 in Albania l’insegnamento della lingua italiana fu reso obbligatorio in tutte le scuole del regno. Nel marzo 1939 Benito Mussolini propose al capo di Stato Zog la stipula di un nuovo trattato che avrebbe portato alla cessione totale della sovranità nazionale albanese, esautorando di fatto il governo di Zog dei poteri decisionali in campi strategici come l’economia o la politica estera. Tale trattato si compose di 8 punti concernenti: l’alleanza militare tra i due paesi (art.1); l’integrità territoriale dell’Albania riconosciuta dall’Italia (art.2); la possibilità per l’Italia di
intervenire con mezzi propri in caso di pericolo per l’ordine pubblico interno o per un’aggressione esterna al territorio albanese (art.3); una serie di accordi nel campo dello sfruttamento delle risorse e delle infrastrutture albanesi da parte italiana (art. 4-5-6-7); e infine l’articolo 8, base per l’espansionismo demografico italiano in Albania, nel quale si legge: «I cittadini albanesi domiciliati in Italia e i cittadini italiani domiciliati in Albania godranno gli stessi diritti politici e civili dei quali godono i cittadini dei sue stati nel proprio territorio».

Fu proprio l’articolo 8 del trattato a rappresentare il punto di rottura tra le due parti. Anche Zog, nonostante i suoi stretti legami con l’Italia, non poté accettare questa condizione.

L’invasione dell’Albania del 1939, cominciata proprio il 7 aprile, fece parte delle operazioni militari del Regno d’Italia per l’espansione territoriale ed economica alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Le truppe italiane invasero il territorio albanese sbarcando a Santi Quaranta, Valona e Durazzo. La resistenza armata albanese si rivelò insufficiente contro le forze armate italiane. Il re e il governo fuggirono in Grecia e furono obbligati all’esilio. L’Albania, da quel momento, cessò “de facto” di esistere come Stato autonomo e indipendente. Le perdite italiane nei 3 giorni (7, 8 e 9 aprile) di combattimento necessari all’occupazione del Paese ammontarono in totale a 93 uomini; il 60% delle perdite riguardò la Marina. In totale, gli italiani che sbarcarono in Albania e occuparono il Paese furono circa 22mila. Gli invasori instaurarono un governo fantoccio, introducendo una nuova Costituzione che trasformò di fatto l’Albania in colonia vera e propria. Il trono albanese fu assunto da Re Vittorio Emanuele III, che regnò fino all’armistizio dell’8 settembre 1943 (resa dell’Italia agli Alleati).

L’attacco all’Albania avvenne una settimana dopo la conclusione della guerra di Spagna (1º aprile 1939). Secondo alcuni, questa operazione militare avrebbe dovuto avere luogo subito dopo la guerra d’Etiopia (Abissina) nel 1936, ma fu rinviata a causa della guerra civile spagnola, dove Mussolini schierò militarmente al fianco di Francisco Franco un numero importante di militari. Gli affari esteri albanesi, come anche le risorse naturali, caddero sotto il diretto controllo dell’Italia. I fascisti permisero ai cittadini italiani di insediarsi in Albania con l’obiettivo estremo di trasformarla col tempo in territorio italiano a tutti gli effetti. Nel corso di tutta l’occupazione giunsero circa 11mila coloni italiani (per lo più provenienti dal Veneto e dall’Italia meridionale) che si
concentrarono però nelle sole zone di Durazzo, Valona, Scutari, Porto Palermo, Elbasani e Santi Quaranta. A questi coloni si aggiunsero i 22mila lavoratori italiani mandati temporaneamente in Albania nell’aprile 1940 per costruire strade, ferrovie e infrastrutture.

L’Albania servì anche a Mussolini come punto di partenza per la conquista della Grecia, con il pretenzioso obiettivo di avviare la trasformazione del Mediterraneo nel “Mare Nostrum” di quello che sarebbe diventato il nuovo Impero Romano così come auspicato dal fascismo. Il Duce si prefisse di seguire le orme dei Romani per la conquista dei Balcani (antica Illiria). Ci fu tuttavia la decisa opposizione dell’esercito albanese alla guerra italo-greca, per cui i battaglioni albanesi abbandonarono il fronte su ordine del loro comandante, il colonello Prenk Pervizi (Skuraj, 4 maggio 1897 – Belgio, 6 settembre 1977). Questo portò a una disastrosa ritirata delle forze italiane, così che i Greci poterono occupare la città di Koritza. Le truppe albanesi furono tolte dal fronte e isolate nelle montagne del nord d’Albania.

Gli italiani erano sostenuti in Albania dal Partito Fascista Albanese. Dopo la resa dell’Italia dell’8 settembre 1943, tuttavia, circa 120000 tra militari italiani, familiari e funzionari rimasero bloccati nel Paese. Pervizi prese in consegna il comando italiano dal generale Dalmazzo, l’8 settembre 1943, alla capitolazione dell’Italia, con la condizione di dare ordine alle guarnigioni italiane di cessare ogni resistenza e arrendersi agli albanesi. Bande partigiane albanesi in quei giorni fucilarono centinaia di militari italiani, tra cui i carabinieri della Colonna Gamucci, guidata dal ten. colonnello Giulio Gamucci. Migliaia di italiani in quei mesi morirono di fame e di stenti. Vi fu anche chi formò delle formazioni partigiane autonome per combattere i tedeschi, come i battaglioni “Firenze” e “Gramsci”.

Vi fu successivamente l’Occupazione tedesca del Regno d’Albania. Le Waffen SS costituirono con volontari albanesi la divisione 21. Waffen-Gebirgs-Division der SS “Skanderbeg” che operò contro i partigiani nel 1944. Dopo il ritiro delle truppe del Terzo Reich, tuttavia, l’Albania precipitò nella guerra civile: alcuni membri del partito fascista albanese e di quello nazista combatterono fino alla fine contro comunisti e nazionalisti sia in Albania che in Kosovo: l’ultimo di questi gruppi cessò la lotta armata solo nel 1951. Sotto la guida di Enver Hoxha, il Partito Comunista Albanese prese il potere il 29 novembre 1944, sconfiggendo le componenti nazionaliste guidate da Balli Kombetar. Verso la fine del 1945 Hoxha fece tenere delle elezioni da cui uscì vincitore, con una assoluta maggioranza, il gruppo del Fronte Democratico, che comprendeva i comunisti e rivoluzionari. Il nuovo governo prese il potere nei primi mesi del 1946, avendo come primo capo dello Stato proprio il comunista Enver Hoxha.

La conclusione formale della guerra d’aggressione fu sancita con la sottoscrizione, da parte della Repubblica Italiana, degli articoli 27-32 del Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947. L’Italia riconobbe la sovranità e l’indipendenza dello Stato di Albania, rinunciando anche all’isola di Saseno che le era stata ceduta con il Trattato di Tirana del 1920. Riconobbe altresì che tutte le convenzioni e intese intervenute tra l’Italia e le autorità insediate dall’Italia in Albania tra il 7 aprile 1939 e il 3 settembre 1943 fossero nulle e non avvenute, rinunciando egualmente a rivendicare ogni speciale interesse o influenza in Albania acquisita in virtù di trattati o accordi conclusi prima di dette date. Il trattato disponeva la perdita automatica della cittadinanza per tutti i cittadini italiani che, al 10 giugno 1940, erano domiciliati in territorio ceduto dall’Italia a un altro Stato e per i loro figli nati dopo quella data, fatta salva la facoltà di optare per la cittadinanza italiana entro il termine di un anno dall’entrata in vigore del trattato stesso. Si dava inoltre facoltà allo Stato al quale il territorio era ceduto di esigere il trasferimento in Italia dei cittadini che avessero esercitato l’opzione suddetta, entro un ulteriore anno.

Lo Stato al quale i territori erano stati ceduti, tuttavia, avrebbe dovuto assicurare il godimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ivi comprese la libertà di espressione, di stampa e di diffusione, di culto, di opinione politica e di pubblica riunione a tutti i residenti nel territorio stesso. Non fu questo il caso dell’Albania, che la Conferenza di Jalta poneva sotto l’influenza sovietica. Dopo la fine della guerra, Hoxha stava instaurando nel regno un terribile regime dittatoriale di stampo comunista. Ai cittadini italiani presenti in Albania nel 1945 fu preclusa la possibilità di rientrare in patria, nell’indifferenza generale dei governi italiani che si succedettero. Molti furono imprigionati dal nuovo regime. La soluzione dell’intricata questione internazionale avvenne solo dopo oltre 40 anni, alla caduta del regime comunista.

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