L’invasione di Versailles

Vediamo ora l’importanza che ebbe l’invasione di Versailles…

La Dichiarazione dei diritti incontrò l’opposizione del re, che ne rifiutò la sanzione con estrema nettezza. Con questo atto infelice, svanì inevitabilmente la felice illusione di portare pacificamente a termine la riforma radicale del paese. La notizia esasperò i Parigini: la città era in fermento per i continui rincari dei generi alimentari, per il dibattito tenuto vivo dai clubs, dei circoli politici costituiti appositamente per i cittadini; bastò quindi la notizia che alcuni ufficiali della guardia del re avevano calpestato, durante un banchetto, alla presenza dei sovrani, la coccarda tricolore, perché una folla di uomini e donne inviperiti muovesse il sei ottobre su Versailles e, travolta la resistenza dei gendarmi, invadesse gli appartamenti reali.

Il mito plurisecolare della sacralità regia era così infranto.
I rivoltosi imposero al sovrano di trasferirsi il giorno dopo a Parigi, ove sarebbe rimasto nel suo palazzo delle Tuiliries, sotto lo stretto controllo cittadino. I ribelli del Terzo Stato trovarono, in tal modo, un formidabile sostegno nella forza popolare: la rivoluzione dell’Assemblea si saldava con la rivoluzione delle piazze. Scrisse Vovelle (storico francese di formazione marxista): “Tuttavia l’intervento delle masse popolari nel corso di una rivoluzione liberale che aveva raggiunto quasi tutti gli obiettivi essenziali […] avrebbe creato tra le esigenze borghesi e quelle plebee una spaccatura destinata ad allargarsi sempre più […] L’insurrezione popolare aveva assicurato il trionfo della borghesia. Grazie alle giornate di luglio e d’ottobre i tentativi controrivoluzionari erano falliti. L’Assemblea nazionale, vittoriosa sulla monarchia, ma per merito dei Parigini, temendo di trovarsi alla mercé del popolo, prese a nutrire verso la democrazia la stessa diffidenza che provava nei confronti dell’assolutismo”.

Col trasferimento di Luigi XVI a Parigi, nell’atmosfera surriscaldata offerta in quel momento dalla capitale, si moltiplicarono i segni d’un ulteriore slittamento della Rivoluzione sul piano radicale e popolare. La stessa Assemblea costituente cominciò a preoccuparsene ed alcuni gruppi cercarono di chiudere il circuito rivoluzionario, o quantomeno a stringerlo, nell’intento di mantenere il movimento nel suo originario alveo borghese. Per riuscire in ciò sarebbe stato necessario che Luigi XVI avesse accettato francamente il nuovo ruolo di sovrano costituzionale, sottraendosi alle suggestioni reazionarie della corte e dei ceti aristocratici. Il fallimento della prospettiva costituzionale, per la quale si prodigò instancabilmente il conte di Mirabeau (deputato alla Costituente per il Terzo Stato), fece precipitare le sorti della monarchia e segnò la storia della Rivoluzione. Intanto il nuovo volto plebeo e violento della lotta popolare accentuò l’esodo degli aristocratici, per nulla rassegnati di fronte agli eventi, anzi decisi a ricorrere ad ogni mezzo, anche all’aiuto delle potenze europee, per organizzare la controrivoluzione. Questa aveva trovato un terreno favorevole sia nell’apparato statale, sia nell’Ovest e nel Sud francesi, ove, nelle campagne e nelle aree montuose, erano più forti le tradizioni feudali. All’estero l’emigrazione si organizzò soprattutto sulla riva tedesca del Reno e in Piemonte, avvolgendo la Francia in una rete di complotti. La stessa regina Maria Antonietta dalle Tuileries teneva attiva corrispondenza con i centri della controrivoluzione e sollecitava il fratello Leopoldo II d’Austria perché intervenisse con i suoi eserciti a salvare, con la Francia, tutta l’Europa dei re.

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