L’insurrezione spagnola

L’insurrezione spagnola simboleggia la riscossa delle nazionalità in rapporto al contesto di sottomissione che era sorto durante il dominio di Bonaparte.

Accanto all’opposizione intellettuale si deve dunque registrare un’altra e decisamente più pericolosa opposizione al dominio napoleonico, quella popolare. L’insorgere delle masse contadine e la loro volontaria partecipazione alla lotta di liberazione era un fenomeno nuovo nella storia d’Europa. Da quel momento la lotta contro i Francesi cambia carattere. In Spagna, come poi in Russia, essi si trovano a dover affrontare non più eserciti mercenari, ma l’ostilità delle popolazioni e una spietata guerriglia fatta di imboscate e sabotaggi. Di fronte a questo genere di lotta l’esercito francese si dimostrò del tutto impreparato e, di conseguenza, il mito della sua invincibilità cominciò a vacillare.

Cosa portò la Spagna a dar vita ad una attività insurrezionale di questo tipo? Lì orgoglio nazionale offeso, fanatismo religioso, lealismo monarchico cementarono la resistenza contro l’invasore. La guerra fu condotta senza pietà da ambo le parti: alle imboscate, ai sabotaggi, ai colpi di mano degli insorti corrisposero le rappresagli dei Francesi, i saccheggi, gli incendi dei villaggi, il massacro degli abitanti. A Saragozza, ad esempio, quarantamila uomini morirono combattendo. Intervenuto personalmente a sostegno del fratello Giuseppe, Napoleone consumò in Spagna preziose energie, senza però riuscire a venire a capo della rivolta.

Gli insorti spagnoli combatterono sì per la libertà del loro paese, per la difesa dei loro costumi e delle loro convinzioni religiose; è anche vero, però, che nella situazione generale del mondo, essi si battevano contro i principi della Rivoluzione francese e in tal modo rifiutavano quanto la civiltà liberatrice del Settecento aveva espresso a vantaggio dell’umanità. Logicamente, come sempre accade, non tutti gli Spagnoli parteciparono a questa crociata; una frazione della borghesia (i cosiddetti ‘afrancesados’, poche migliaia di uomini che appartenevano all’élite amministrativa ed intellettuale) parteggiò per i Francesi, nella convinzione che per questa via si sarebbe potuto liberare il paese dalla sua secolare arretratezza, dalla superstizione, dall’analfabetismo. Ma un’altra parte della borghesia, una piccola élite liberale, preferì schierarsi nel fronte patriottico, partecipando all’insurrezione popolare e giocando un ruolo importantissimo nonostante l’esiguità del proprio numero, riuscendo a strappare al monarca legittimo detronizzato e alla Giunta insurrezionale la convocazione delle Cortes dalle quali uscì la Costituzione (1812) che fu detta di Cadice. Essa rappresentò il tentativo di dare uno sbocco liberale e democratico alla lotta di liberazione e costituì, peraltro, un punto di riferimento importante nella storia del movimento costituzionale dell’Ottocento. Ma fu contrastata sin da subito dal suo sorgere dall’aristocrazia e avversata dalle masse popolari, troppo arretrate per intenderne il valore liberatorio. Non fu difficile perciò a Ferdinando, appena recuperato il trono dopo la cacciata dei Francesi, cancellarla con un tratto di penna. La vecchia Spagna respingeva il liberalismo come aveva respinto il nemico al di là dei confini.

Sempre nel 1812 gli Inglesi, installati saldamente in Sicilia, sollecitarono il sovrano borbonico rifugiato nell’isola ad emanare quella Costituzione che, insieme all’altra carta di Cadice, segnerà l’inizio di una nuova linea nella lotta ideologica contro Napoleone. Oltre alle consuete argomentazioni di ispirazione reazionaria e sanfedista, gli avversari di Napoleone fecero loro, in quella occasione, il linguaggio della libertà e contrapposero all’Impero dispotico il modello della monarchia costituzionale.

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