Molto interessante il riferimento che fa De Ruggiero, che coglie in tal modo il centro del problema, al celebre opuscolo “Sulla libertà degli antichi e dei moderni” pubblicato nel 1819 da Benjamin Constant, scrittore, politico, scienziato politico, nobile ed intellettuale francese di origine svizzera. Quest’ultima libertà si rivela come il diritto ad esprimere ed esercitare pienamente la propria individualità, come la facoltà di indirizzare, per quanto possibile, l’attività pubblica secondo le proprie inclinazioni e i propri interessi. Al contrario, gli antichi facevano sovente coincidere la libertà con la partecipazione al governo, anche se ciò implicava l’assoggettamento completo dell’individuo al corpo sociale. La polemica cui diede vita Constant era diretta contro la democrazia rivoluzionaria dei Giacobini che, a suo dire, avevano voluto intenzionalmente trapiantare la libertà di Sparta nel pieno del XVIII secolo.
L’ideale di liberalismo costituzionale era, comunque, quello di salvare l’eredità della Rivoluzione inserendola entro il sistema d’un governo rappresentativo limitato secondo il censo. Accanto all’esperienza della Rivoluzione era, d’altro canto, necessario recuperare quel che era rimasto vitale della Francia d’Antico Regime, della lezione della monarchia e del Cattolicesimo. L’autore era fermamente convinto che la nuova classe borghese, la classe generale per eccellenza, sarebbe stata capace di portare a termine questa complicata opera di mediazione.
La teoria costituzionale elaborata da Benjamin Constant è un perno della moderna storiografia politica, e proprio per questo motivo mi propongo di analizzarla con maggiore profondità nel prossimo articolo.