L’Encyclopédie

Nata con l’ambizioso programma di <>, come scrisse Diderot, l’Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts, et des métiers, pubblicata a Parigi tra il 1751 e il 1772, è considerata il simbolo vero e proprio dell’Illuminismo, l’opera che più di ogni altra ne esprime il carattere e le intenzioni, nonché il mutato rapporto del ceto intellettuale con l’opinione pubblica.

In Francia, le concezioni illuministe furono veicolate attraverso due canali fondamentali.
Il primo di essi, come detto, fu quest’opera collettiva, monumentale, composta da 17 volumi di testo e 11 volumi di tavole illustrative, attraverso cui i curatori – lo scrittore e filosofo Denis Diderot (1713-84), il matematico Jean-Baptiste Le Rond d’Alambert (1717-83) e in seguito il filosofo Paul Henry Dietrich, barone d’Holbach (1723-89) – intendevano fornire una summa dello scibile nel campo delle più differenti discipline. I direttori dell’opera si avvalsero del contributo degli specialisti più noti in ogni singola materia. Le idee di Descarts, Bacone, Locke ispirarono la parte filosofica, entro la quale venne delineata un’immagine della conoscenza incompatibile con la teologia ufficiale e comunque di impronta empiristica. La fisica e la filosofia della scienza di Newton (matematico, fisico e astronomo. A lui si devono la scoperta della legge della gravitazione universale, l’impianto della meccanica su nuove basi, la creazione del calcolo infinitesimale, la scoperta della scomposizione della luce e la formulazione della teoria corpuscolare. Disegnò il primo tratto di meccanica razionale, la quale intende fornire per deduzione e attraverso la via matematica tutte le leggi che regolano una molteplicità di fenomeni) ne informarono la parte scientifica.
Il secondo canale di circolazione delle idee illuministiche fu rappresentato da una miriade di libelli clandestini (portati a spalla dalla Svizzera attraverso le Alpi) a grandissimi circolazione. Questi erano scritti da uomini di modesta cultura che facevano filtrare idee politiche antiassolutistiche con rappresentazioni irriverenti della vita dei grandi nobili e dell’alto clero. In tal modo l’Illuminismo divenne popolare non solo entro gli ambienti intellettuali francesi, ma anche tra la popolazione letterata, contribuendo così a creare quel clima favorevole alla diffusione di idee volte a contrastare i privilegi nobiliari e della corte; tale clima rivestirà un ruolo basilare per dare il via a quella che sarà ricordata come la rivoluzione antiassolutistica del 1789.

L’Encyclopédie venne concepita inizialmente come una vera e propria impresa commerciale. A trasformarla nell’opera emblematica di un’intera stagione culturale furono diversi fattori, tra cui il taglio filosofico che gli venne dato da Diderot e d’Alambert, il fatto che intorno a essa si vennero coagulando le esigenze e le tensioni del rinnovamento culturale e politico dell’Ancien régime, come anche la partecipazione e l’interesse del pubblico, che permisero all’opera di sopravvivere anche ai momenti più oscuri e difficili. La vicenda editoriale dell’Encyclopédie fu alquanto tormentata, in quanto assunse inevitabilmente valore politico e sociale. Dopo la pubblicazione del primo volume (1751), con ottimo successo di pubblico, i gesuiti attaccarono con decisione l’opera, accusandola di minare l’autorità dello stato, e ciò portò all’emanazione di un decreto (7 febbraio 1752) che ordinava la soppressione dei primi due volumi. Tale crisi determinò rapidamente la perdita di alcuni collaboratori e forti incertezze nello stesso d’Alambert, ma l’Encyclopédie continuò imperterrita, sia grazie all’energia instancabile di Diderot, sia per gli appoggi di cui comunque riuscì a godere anche nei vertici, per esempio in Malasherbes, responsabile della censura, sia infine per la portata commerciale e la risonanza nell’opinione pubblica ormai raggiunta dall’impresa. Dal 1753 al 1756 uscirono i volumi dal terzo al sesto. Ma a partire dal 1757 l’Encyclopédie si trovò nuovamente al centro di una nuova offensiva dei gesuiti, che portò al suo definitivo divieto. Ritiratosi d’Alambert, Diderot continuò a lavorare all’opera, pubblicata clandestinamente sino al 1772, quando si conclude con diciassette volumi di testo e undici di tavole.

Nel tentare di andare a delineare le grandi direttrici lungo le quali si mosse il programma culturale e filosofico dell’opera, occorre rammentare innanzitutto il convincimento degli enciclopedisti di trovarsi a vivere in un’epoca di grande progresso filosofico e scientifico.
In effetti d’Alambert, nella seconda parte del Discorso preliminare all’opera, tracciò un quadro esaustivo dell’evoluzione del pensiero umano, significativamente fatto incominciare dal Rinascimento, i cui momenti fondamentali sono identificati in quei <>. Dominano su tutte le figure di Bacone, Newton e Locke. Accanto ai tre grandi padri dei Lumi (cui si affiancano di diritto i maggiori ingegni scientifici, da Galilei a Huygens), occupa un posto importante anche Cartesio, di cui d’Alambert esaltò le scoperte matematiche e soprattutto la lotta condotta in nome della ragione contro il giogo della Scolastica e contro il dispotismo del principio di autorità. L’Encyclopédie si pose nel solco di queste tradizioni; suo compito fu di rendere disponibili i frutti del progresso scientifico e insieme indicare un nuovo e attuabile programma di lavoro.

D’Alambert (che quando iniziò a occuparsi dell’Encyclopédie era uno scienziato affermato, e che si occupò della redazione del Discorso preliminare e della gran parte delle voci di matematica, meccanica, geometria, astronomia, oltre a diversi articoli di argomento vario) sviluppò nella prima parte del Discorso preliminare una sorta di genealogia delle conoscenze, ovvero una ricostruzione dei rapporti di filiazione e di derivazione tra esse, che parte dall’origine sensibile delle idee. Posto che le prime conoscenze che l’uomo riceve dalle sensazioni riguardano la sua propria esistenza come essere pensante e l’esistenza del mondo esterno, compreso il suo corpo, lo sviluppo della conoscenza è messo da d’Alambert in relazione diretta con la soddisfazione dei bisogni primari: alle esigenze dell’uomo, inteso sia come singolo sia nelle sue relazioni con gli altri, è fatta risalire la genesi del linguaggio, dalle nozioni del giusto e dell’ingiusto, della legge naturale, sino alla stessa idea di Dio. Dalla medesima origine derivano la arti di più stringente necessità, come l’agricoltura e la medicina. Ugualmente empirica è la genesi delle scienze astratte, che muovono dall’esistenza dei corpi, certificata dalla sensazione, operando per via analitica la scomposizione dei corpi stessi nelle loro proprietà, come l’estensione, il movimento, l’impenetrabilità: così, con successive operazioni e astrazioni della nostra mente, spogliamo la materia di quasi tutte le sue proprietà sensibili, per considerarne in un certo qual modo solo il fantasma. Successive astrazioni e generalizzazioni conducono dalla geometria all’aritmetica e all’algebra, muovendo dalle quali si torna, per ricomposizione, agli esseri reali: di qui le scienze fisico-matematiche, prima fra tutte l’astronomia, che applicano la meccanica e la geometria allo studio dei corpi, e la fisica generale e sperimentale, che studia i rapporti esistenti fra le proprietà dei corpi. D’Alambert affermò infine: <>.

Nel ragionamento di d’Alambert emerge sistematicamente il riferimento ai bisogni dell’uomo nella genesi delle conoscenze e nella loro finalizzazione: da qui scaturisce lo stretto rapporto fra le scienze e le arti meccaniche, e la piena rivalutazione, secondo la lezione baconiana, dell’importanza pratica e conoscitiva di queste ultime.
In secondo luogo va sottolineato l’intento metodologico che guida questa ricostruzione dell’ordine delle conoscenze: invece che procedere deduttivamente dai principi generali per ricostruire la totalità del sapere, occorre utilizzare la via che procede dalle idee concrete alle astratte e risale dalle conseguenze note ai principi ignoti. Di qui muovono la critica dell’esprit de systéme (spirito di sistema), caratteristico delle grandi metafisiche seicentesche, e il rifiuto di ogni costruzione di pensiero che voglia costringere la natura entro un’astratta totalità razionale. Allo spirito di sistema gli enciclopedisti oppongono la necessità dell’esprit systématique, ovvero di quello sforzo inteso a elaborare ordinamenti concettuali che ricostruiscano, tentando di non smarrire mai il rapporto con l’esperienza, la catena delle nostre conoscenze. Il compito della filosofia non è più quello di pervenire alla costruzione di un sistema onnicomprensivo della realtà, formulato sulla base di un complesso di principi di per sé evidenti, è invece quello di organizzare i risultati conseguiti dalla ricerca scientifica nei suoi diversi campi, proponendo un ordine sistematico che scaturisca dal senso stesso di questa ricerca.

L’Encyclopédie riveste indubbiamente un enorme valore culturale e politico. In primo luogo, essa fu un’impresa editoriale moderna, capace di far lavorare un gruppo di collaboratori ampio ed eterogeneo, dal punto di vista sia professionale che sociale, ma omogeneo quanto a collocazione culturale e ideale: una sorta di élite riformatrice accomunata da estraneità o volontà polemica nei confronti della società di Ancien régime; analoghe anche le caratteristiche del pubblico di lettori, assai vasto per l’epoca, costituito principalmente da esponenti della borghesia industriale e commerciale, professionisti, parlamentari, burocrati, ufficiali, ecclesiastici. L’opera veicolò nella cultura francese ed europea forti elementi di innovazione:
la concezione sperimentale del sapere;
lo stretto legame fra teoria e pratica e l’esaltazione del valore delle tecniche, in contrapposizione a una concezione retorica ed erudita della cultura;
la libertà religiosa, la tolleranza, il rifiuto della superstizione e del fanatismo;
una visione della politica come esercizio del potere fondato sul consenso e sulla legittimità dell’autorità;
una fiducia profonda nel progresso e nel valore della ragione, nella possibilità di sviluppare cultura e autonomia di pensiero nel campo aperto dell’opinione pubblica;
una visione del filosofo come uomo calato nel mondo e nelle pratiche della vita sociale;
uno stile di pensiero aperto, disposto al dialogo e al confronto, cui il lettore veniva condotto dalla stessa struttura dell’opera e dalla pluralità dei punti di vista, spesso contrastanti, che vi trovavano accoglienza.

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