Economia politica: il mercantilismo e la fisiocrazia

Appare inevitabile il dover affrontare, in maniera rapida ma efficace, un’analisi concernente lo sviluppo economico che accompagnò il rapido modificarsi delle concezioni politiche di cui si resero protagonisti gli Stati territoriali, insieme ai diversi sviluppi in ambito culturale e letterario nei precedenti articoli descritti.

Tra il 1600 ed il 1750 abbiamo una notevole espansione dell’attività economica, il mercato comincia a crescere d’importanza, il lavoro, la terra, il capitale cominciano ed essere oggetti di apposita compravendita; vengono quindi gettate le basi per la prossima rivoluzione industriale. Notiamo parallelamente uno sviluppo qualitativo di cui si rese protagonista l’approccio alla disciplina, in quanto il pensiero economico, da una semplice disamina delle idee sui singoli, le famiglie, i produttori, passa a sviluppare una concezione indubbiamente più profonda e complessa, intesa ora come un sistema caratterizzato da leggi e relazioni esclusive e totalizzanti. Tre sono le principali correnti che si sviluppano in tal senso: mercantilismo – precursori scuola classica – fisiocrazia.

IL MERCANTILISMO: (1500 – 1750)
Può esser considerata una teoria economica elaborata da mercanti e uomini d’affari, quindi si riversano in essa molteplici elaborazioni di teorie; rimane dunque difficile una chiara sintetizzazione della corrente.
In questo periodo l’economia – intesa come disciplina – non aveva ancora riscontrato una propria dignità accademica; con il declino del feudalesimo e di crescita dello stato nazionale, i mercantilisti tentarono di individuare le politiche più appropriate per favorire l’incremento della potenza e della ricchezza della nazione stessa.

Ipotesi fondamentale: la ricchezza globale del mondo è fissa. nel senso che nel commercio tra individui il guadagno di qualcuno comporta necessariamente la perdita di qualcun altro. Quindi, per quanto riguarda le nazioni, la ricchezza e il potere potevano aumentare solo a spese di qualche altro stato sovrano. Rimane dunque essenziale il ruolo del commercio internazionale e delle bilancia commerciale. Lo scopo dell’attività economica, secondo la teoria considerata, è la produzione, non il consumo. L’aumento della ricchezza nazionale deve essere conseguito attraverso l’incremento della produzione, aumentando le esportazioni, contenendo il consumo interno. La politica economica suggerita contemplava bassi livelli di salario, sia per assicurare alla nazione un vantaggio competitivo sugli altri paesi, sia perché era loro convinzione che i salari al di sopra del livello di sussistenza avrebbero determinato un minore sforzo lavorativo.
Cosa dovrebbe fare un paese nello specifico?
Incoraggiare le esportazioni e disincentivare il importazioni per mezzo di tariffe, dazi, tasse, sussidi, per raggiungere un attivo della bilancia commerciale. La produzione dovrebbe essere stimolata tramite l’intervento pubblico sul mercato interno e la regolamentazione del commercio estero.
Ricchezza Nazione = Riserve Metalli Preziosi

Le principali determinanti del livello di attività economica e del suo saggio di crescita sono i fattori monetari piuttosto che quelli reali. Riscontriamo il ruolo essenziale di un’adeguata offerta di moneta per crescita del commercio, tanto interna quanto internazionale, così che le variazioni della quantità di moneta dovrebbero comportare variazioni del livello di produzione reale (concezione abbandonata poi con Adam Smith e l’economia classica, ovvero quando le spiegazioni del livello e del tasso di crescita dell’attività economica furono ricondotte a una serie di fattori reali – quantità di lavoro, risorse naturali, beni capitali, struttura istituzionale – e variazione della quantità di moneta venne collegata alla variazione del livello generale dei prezzi).
I mercantilisti erano convinti dell’esistenza di un conflitto fondamentale tra gli interessi privati e il benessere pubblico, quindi era necessario che il governo incanalasse gli interessi individuali verso il vantaggio collettivo ( fondamentale l’intervento pubblico in economia).
I classici intravedevano invece un’armonia di fondo del sistema e immaginavano che il bene pubblico scaturisse naturalmente dalla ricerca dell’interesse personale.

PRECURSORI DEL PENSIERO CLASSICO:
THOMAS MUN: Dirigente della Compagnia delle Indie Orientali. Secondo lui la ricchezza dell’Inghilterra proveniva soprattutto dal commercio estero, confondendo la stessa ricchezza di un paese con le sue riserve di metalli preziosi. Il governo avrebbe dovuto regolamentare il commercio estero in modo da mantenere un attivo di bilancio costante, incoraggiando l’importazione di materie prime a basso costo e l’esportazione di beni manufatti, stabilendo tariffe protezionistiche e adottando misure per favorire la crescita della popolazione e il mantenimento dei salari a un livello basso e concorrenziale.

WILLIAM PETTY: Primo pensatore che effettivamente con cognizione di causa si fa promotore dell’impiego di tecniche statistiche al fine di misurare i fenomeni sociali. Tentò difatti di misurare popolazione, reddito nazionale, importazioni ed esportazioni, stock di capitale di una nazione. La sua volontà/intuizione, che si concretizzò nel tentativo di esprimere le idee in termini di numero – peso – misura e di accettare solo quelle argomentazioni che hanno un visibile fondamento nella natura, rappresenta la prima pietra del moderno approccio all’economia.

BERNARD MANDEVILLE: Affidò il proprio messaggio a un poema allegorico scritto in un linguaggio satirico. Era convinto che il mondo fosse pieno di vizi, ma che questi potessero comunque essere trasformati in benefici collettivi dall’opera accorta di un abile politico. Non vedeva con favore il risparmio privato, in quanto avrebbe condotto ad una contrazione effettiva dei consumi, e di conseguenza ad una riduzione del prodotto e dell’occupazione. Lui può esser definito come un mercantilista puro, in quanto insisteva sul fatto che il governo dovesse regolamentare il commercio estero in modo da assicurare un’eccedenza delle esportazioni sulle importazioni. L’obiettivo della società doveva essere la produzione, non il consumo. Mandeville era contro la pigrizia del cittadino e a favore di una popolazione numerosa, all’interno della quale anche i bambini lavorassero. Alto tasso di partecipazione = bassi salari = vantaggio comparato della nazione nelle esportazioni e nel commercio internazionale. Bassi salari avrebbero inoltre garantito una adeguata offerta di lavoro, con la curva dell’offerta di lavoro che sarebbe stata inclinata verso il basso.

DAVID HUME: Potremmo classificarlo come mercantilista liberale, ovvero come un mercantilista che già muoveva le proprie considerazioni verso l’economia politica classica. Dimostra l’impossibilità di un costante attivo nella bilancia commerciale. La sua parziale adesione alle posizioni mercantiliste è rappresentata dal fatto che riteneva che la produzione in termini reali avrebbe potuto essere aumentata attraverso variazioni dell’offerta di moneta, mentre per i classici sarebbero state necessarie variazioni di tipo reale (offerta di lavoro – risorse disponibili – beni capitali – struttura istituzionale) piuttosto che monetarie, le quali avrebbero modificato soltanto il livello generale dei prezzi.
Secondo Hume, nonostante il livello assoluto di denaro nella nazione non avesse alcuna influenza sulla produzione in termini reali, tuttavia un incremento graduale nell’offerta di moneta avrebbe comportato una maggiore produzione. Era inoltre convinto che un ampliamento della sfera di libertà economica dovesse accompagnarsi a una crescita della libertà politica.

RICHARD CANTILLON: La sua opera (Saggio sulla natura del commercio in generale) fu riscoperta nel 1881 da Jevons, che la descrisse come la culla dell’economia politica. Cantillon fu contemporaneamente mercantilista (per le opinioni sul commercio estero), fisiocratico (per l’enfasi da lui posta sul ruolo dell’agricoltura entro il sistema economico), fisiocratico – classico (intendendo i settori dell’economia correlati). Perché è moderno? Perché intendeva iniziare con lo stabilire tramite la riflessione i principi basilari dell’economia, e perché voleva raccogliere dati per procedere a una verifica di tali principi. Secondo lui, il sistema di mercato era in grado di coordinare le attività dei produttori e consumatori per mezzo del meccanismo dell’interesse individuale. Gli imprenditori erano delle figure chiave in quanto, ricercando imperterriti la massimizzazione del proprio profitto, danno risultati collettivamente superiori a quelli che si potrebbero ottenere con l’intervento del governo. Cantillon teorizza mercati di tipo concorrenziale, dove gli imprenditori si contendono i clienti sul mercato dei beni finali e si fanno concorrenza sui mercati dei fattori. Distingue prezzi di mercato, determinati da fattori di breve periodo, e il valore intrinseco delle merci, ovvero i prezzi di equilibrio di lungo periodo. Scomponendo l’economia in diversi settori, fu in grado di analizzare il flusso di redditi tra essi, ma non diede una rappresentazione grafica di ciò ( lavoro poi fatto da Quesnay). Nuovi fondi immessi nell’economia influenzano non solo il livello generale dei prezzi, ma anche i prezzi relativi.

LA FISIOCRAZIA:
L’idea di una natura portatrice di un valore intrinseco veniva riletta in una originale chiave scientifica da un gruppo di economisti, che si dissero appunto fisiocratici, tra i quali Francosi Quesnay (1694-1774) e Robert Jacques Turgot (1727-81), che ne fecero un principio regolativo dell’economia. Con un ragionamento analogo a quello dei filosofi giusnaturalisti, i fisiocratici attribuirono alla natura, in questo caso alla terra, il primato di fonte originaria di valore, cioè di ricchezza. Questo principio comportava che l’agricoltura rappresentasse il motore principale di tutta l’economia, in quanto principale forma di produzione della ricchezza attraverso la creazione di eccedenze di merci alimentari destinate a entrare nel circuito commerciale. L’unico lavoro produttivo era dunque quello legato alla trasformazione della ricchezza potenziale della terra in ricchezza reale, ovvero in prodotti alimentari. L’artigianato e il commercio, invece, trasformavano e distribuivano questa ricchezza, ma non la producevano. Il mercantilismo dunque sbagliava a loro avviso nell’attribuire agli scambi mercantili il significato ci colonna portante dell’economia. Inoltre, poiché la natura, fonte ultima delle libertà, non poteva imporre limiti alla libertà di circolazione dei beni creata attraverso la sua trasformazione produttiva, ne discendeva l’insensatezza dei monopoli, delle dogane interne ed esterne, dei privilegi delle corporazioni e di tutti i complicati vincoli previsti dal sistema mercantilistico. In quest’ottica, logicamente, altrettanto irragionevole era il postulato mercantilista del necessario intervento dello Stato quale fattore propulsivo dell’economia e di equilibrio delle forze di mercato. Infatti, la libera interazione dei soggetti economici sul mercato con l’obiettivo di perseguire il proprio esclusivo interesse avrebbe condotto spontaneamente al benessere della società nel suo complesso. Con questa analisi dei meccanismi produttivi della società i fisiocratici ci avevano implicitamente dato all’indagine economica un proprio statuto disciplinare scientifico.
I principi liberistici di cui era portatrice la loro dottrina (libertà di commercio – libera concorrenza – nessun intervento dello Stato nei meccanismi di mercato) vennero ulteriormente approfonditi dagli economisti inglesi di quei decenni, in particolare da Adam Smith, al quale si deve una più accurata analisi del lavoro produttivo e in genere dell’industria umana contenuta nella sua celebre opera Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776).

Gli autori appartenenti alla corrente fisiocratica erano particolarmente attenti allo studio dell’interrelazione tra i diversi settori dell’economia e all’analisi del funzionamento dei mercati non regolamentati. Tale approccio nasce e si sviluppa in Francia intorno al 1750, ebbe vita breve, ma considerevole influenza sul pensiero economico successivo. Chiara, in tale contesto, la leadership di Francois Quesnay. Vi era la convinzione che vi fossero delle leggi naturali che governano il funzionamento dell’economia, indipendentemente dalla volontà degli uomini; una legge naturale tuttavia indagabile. Il processo macroeconomico dello sviluppo era al centro delle loro preoccupazioni. I fisiocratici intendevano scoprire la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, e le politiche più efficaci per promuovere in tal senso la crescita economica. Non misero al centro della loro analisi la moneta, ma le forze reali che promuovono direttamente lo sviluppo economico e, secondo loro, l’origine della ricchezza andava essenzialmente ricercata entro lo sviluppo agricolo. Vi fu una sostanziale ricerca dell’origine e delle dimensioni del sovrappiù all’interno del fenomeno economico, ricerca che andò a culminare con l’ipotesi di PRODOTTO NETTO. Si pensò che questo fosse ricavabile esclusivamente dall’agricoltura, in quanto qui il lavoro produce i beni sufficienti a coprire i costi del lavoro, ma la terra fornisce il surplus. Altre attività economiche e la manifattura vennero considerate sterili in quest’ottica. La terra genera un output maggiore dei costi della sua produzione. Il valore, quindi, scaturisce non dallo scambio, atto diseguale, ma dall’atto produttivo. La proprietà privata venne considerata un diritto naturale, concertata dal libero commercio. La circolazione permette la riproduzione del sistema, è l’elemento fondamentale. Sorse quindi una concezione tipica della politica economica, secondo cui la spinta che muove gli esseri umani a dedicarsi alle attività economiche è il desiderio di massimizzare il proprio guadagno. La libera concorrenza porta i prezzi migliori e, di conseguenza, la società nel suo complesso trae effettivo beneficio nel momento in cui ciascun individuo segue il proprio personale interesse. I fisiocratici intendevano un’economia capace di auto regolarsi, in quanto per loro esisteva un ordine naturale al di sopra delle intenzioni e dei comportamenti umani. Rifiutavano drasticamente il sistema mercantilista, che presupponeva dei controlli sull’economia. Agricoltura centrale: fonte del prodotto netto.

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