L’economia politica classica

Le idee economiche degli scolastici, della fisiocrazia e del mercantilismo furono all’origine dei concetti che rappresentarono quel sistema più o meno unitario creato da parte degli economisti classici. Si possono facilmente individuare tre caratteristiche principali che collegano tra loro gli esponenti dell’economia politica classica, le quali li differenziano dagli autori che li precedettero e da quelli che li seguirono.

Il distacco più significativo dal pensiero mercantilista è dato da un giudizio favorevole nei confronti dei risultati prodottisi naturalmente per l’operare delle forze economiche, quindi da una visione del sistema economico come un complesso per lo più armonioso, in forte contrasto con quelle disarmonie, teorizzate dai mercantilisti e dagli scolastici, che richiedevano l’introduzione di vincoli o interventi importanti nell’economia. Si tratta dunque di una visione ottimistica del funzionamento dei mercati, che nelle sue varie componenti costituisce uno dei principali tratti distintivi del pensiero classico, come vedremo.

Furono gli esponenti della fisiocrazia francese per primi a teorizzare che i mercati, da soli, trovino soluzioni armoniose ai conflitti che sorgono dalla scarsità relativa; erano perciò convinti che il governo dovesse adottare in generale un programma politico di non interferenza nell’economia, ovvero una politica di “laissez faire”. Laddove gli scolastici vedevano come appropriato e necessario un giudizio morale sulle attività economiche da parte della chiesa e i mercantilisti invocavano l’intervento diretto dello stato, i classici, sulla scia dei fisiocratici, proponevano mercati liberi da regolamentazioni dove i soggetti godessero del massimo possibile di libertà individuale.
Non solo erano convinti che le libertà (tanto a livello individuale quanto collettivo) fossero desiderabili in se stesse, ma anche che la libertà economica fosse il mezzo per far funzionare l’economia nel modo più efficiente possibile, e dunque, sulla base di tale assunto, tanto gli individui quanto le transazioni avrebbero dovuto essere svincolati dalle interferenze del governo. I classici, inoltre, percepivano chiaramente come la libertà di azione in economia e quella politica fossero intimamente collegate, alimentandosi reciprocamente in una sorta di circolo virtuoso.

Gli economisti classici, nonostante la loro visione di un funzionamento fondamentalmente armonioso del processo economico, erano tuttavia consapevoli della presenza costante di componenti conflittuali all’interno della loro società, specialmente tra i proprietari terrieri e coloro che intendevano promuovere la crescita dell’economia e il cambiamento degli indirizzi di politica economica. Le tendenze di lungo periodo del capitalismo, così come prefigurate da Smith e Ricardo, sottintendevano esiti così poco armonici che la scienza economica iniziò ad essere chiamata addirittura “la scienza triste”, mentre Malthus aveva agitato lo spettro della sovrappopolazione e messo in discussione la natura auto-equilibratrice dell’economia.

Dunque, nel pensiero degli economisti classici possono essere rintracciate le origini sia dell’approccio predominante, sia delle varie correnti eterodosse presenti nella moderna teoria economica.

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