L’economia italiana durante il primo Ottocento

L’economia italiana nel Primo Ottocento.

Il tratto distintivo dell’economia italiana nella prima metà del XIX secolo era costituito dall’assoluta prevalenza dell’agricoltura sugli altri settori produttivi e dal lento sviluppo dell’attività industriale, per lo più ancora legata a metodi di produzione artigianali. Se nelle campagne della pianura padana iniziava a svilupparsi un sistema di stampo capitalista della coltivazione delle terre, basato fondamentalmente sulla concessione in affitto dei terreni a imprenditori privati e sulla retribuzione salariale della mano d’opera, il resto della penisola rimase più che altro legato alle forme arcaiche della mezzadria e del latifondo. Alle tradizionali coltivazioni della vite e dei cereali si affiancarono progressivamente colture specializzate come quella del gelso per i bachi da seta, la canapa, gli agrumi e il riso. Sul piano industriale il settore tessile e quello alimentare furono notevolmente stimolati dalla crescita improvvisa della domanda internazionale, che spinse addirittura alcuni Stati italiani a riconsiderare la politica protezionista fino ad allora adottata, mentre sul piano dello sviluppo di un mercato nazionale le difficoltà rimasero assai gravi.

A impedire il decollo della domanda interna contribuivano la frammentazione politica della penisola in diversi Stati tra loro decisamente differenti, l’assenza di un’unione doganale sul modello tedesco (cui si opponevano apertamente sia l’Austria che il Regno delle Due Sicilie), il grave ritardo nella costruzione di una rete ferroviaria che fungesse da stimolo diretto al commercio e, non da ultimo, le ataviche condizioni di indigenza in cui viveva la gran parte della popolazione. Un dato pressoché uniforme che emerge dall’analisi della condizione in cui versavano le campagne italiane durante la prima metà dell’Ottocento è costituita dall’aumento della miseria contadina. Le condizioni igieniche disastrose come anche il vitto scarso e spesso poco nutriente portarono alla diffusione di malattie sociali (la pellagra, per esempio), mentre nelle zone paludose la malaria assunse spesso proporzioni epidemiche. La diffusione di un’agricoltura organizzata con metodi capitalisti in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna favorì l’impiego di manodopera salariata e la formazione di una classe di contadini senza terra. Molti braccianti, non riuscendo a ottenere stabili contratti di lavoro con gli affittuari dei terreni, potevano contare solo sulle precarie assunzioni giornaliere legate all’andamento dei raccolti. La crescita demografica, lenta ma costante, fu tuttavia accompagnata dall’aumento del tasso di mortalità, mentre si moltiplicarono le esposizioni degli infanti legittimi che le famiglie non riuscivano a sfamare.

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