Per Jomini, dunque, la strategia è quell’unico aspetto – della guerra – suscettibile di analisi scientifica.
Secondo la sua visione, gran parte dei comandanti compiva scelte errate in quanto non sarebbero stati in grado di discernere i principi generali della strategia, che si basavano sul portare forze più grandi a pesare su un punto dove il nemico veniva considerato più debole, e quindi esposto ad un danno paralizzante. Quasi tutti i comandanti, invece, tentando di difendere un territorio o un esercito più debole, lasciavano decidere al nemico dove, quando e come attaccare; incerti sul come proteggere o sfruttare le varie linee naturali di operazione, moltiplicavano i propri tentativi con la conseguenza di disperdere le forze disponibili in varie direzioni. I comandanti vittoriosi dovrebbero dunque attaccare in massa contro i punti considerati decisivi; un’azione aggressiva e offensiva priverebbe il nemico del tempo di pensare e di agire, mentre la superiorità delle forze nel tempo e nel luogo della battaglia sarebbe la migliore garanzia per ottenere una vittoria definitiva.
L’eccezione alla regola derivava dalla guerra civile (contesa armata condotta non con eserciti regolari, ma con un intero popolo in sollevazione): in tale situazione sarebbe stato letteralmente inutile ammassare forze, in quanto non ci sarebbe stato alcun singolo punto decisivo da poter attaccare, essendo il nemico dovunque. L’unica risposta sembrava essere il possedere sia un’armata mobile da combattimento sia divisioni territoriali distinte, in modo da stabilire guarnigioni e controllare ogni distretto conquistato. Jomini ripudiava la guerra di popolo, in quanto eccessivamente distruttiva, costosa e incontrollabile per far parte di studi scientifici.
Clausewitz gli additò due colpe fondamentali: pregiudizio teorico e inadeguata conoscenza della guerra reale.
Le critiche di fondo a Jomini sono legate al riduzionismo e alla prescrizione utilizzata come consuetudine, alla sua volontà di voler a tutti i costi ridurre la complessità della guerra al più piccolo numero di fattori cruciali e di tentare di prescrivere le linee di azione – che avrebbero reso più probabile la vittoria – valide per ogni occasione. Quattro sono le debolezze interne evidenti:
– non riuscì mai a provare l’ipotesi zero (la validità effettiva del suo assunto di base)
– utilizzo del metodo riduzionista: per ridurre nella sua analisi i fattori rilevanti, partì dall’assunto che unità
militari di dimensioni equivalenti fossero sostanzialmente uguali, mentre erano di un certo interesse solo le
differenze al vertice (capacità comandanti nel prendere decisioni strategiche); la guerra tuttavia è un fenomeno
decisamente più complicato, non può esser ridotta a questo.
– vaghezza su dove i principi della guerra dovrebbero esser applicati e dove no: una volta la vittoria dipenderebbe
dalla stretta aderenza ai principi strategici, un’altra l’elemento cruciale sarebbe il genio del comandante
nell’applicarli.
Queste sono le debolezze che resero la teoria di Jomini oggetto di derisione da parte di diversi suoi contemporanei.